Intervista con

Aurelio Grimaldi

regista del film

«La discesa di Aclà a Floristella»

Venezia Lido, settembre 1992

D. Quello che tu hai finora fatto, prima come scrittore e sceneggiatore, ora anche come regista, nasce sempre da un contatto «vero» con la realtà. Anche per «La discesa di Aclà a Floristella» so che c'è stata una profonda ricerca. Puoi dirci qualcosa a questo proposito?
R. Io sono rimasto colpito da una ricerca molto vasta, che racchiudeva anche aspetti molto diversi. Sono rimasto molto colpito da un libro che trovai in una biblioteca di Caltagirone in cui si raccontavano soprattutto le vicende dei bambini, dei «carusi» appunto, e quindi lì trovai per la prima volta, raccontato con dettagli, la questione del «soccorso morto», dei contratti tra le famiglie picconiere, delle botte, delle fughe, delle violenze anche sessuali. E lì c'era già scritto il film praticamente, e in più c'erano anche delle immagini altrettanto belle - ma ce ne sono molte - di questi minatori che per regolamento dovevano tenere il gonnellino che avete visto nel film, ma che in realtà chi glielo faceva fare a quaranta gradi... quelli stavano naturalmente nudi, anche se nel film è un po' ripulito - anche se nonostante questo qualcuno parla di compiacimento ... evidentemente bisognava mandarli in miniera come dice Beppe Grillo per capire come andavano veramente le cose - e quindi c'erano di quelle immagini che mi fecero pensare - io sono molto legato alla letteratura e quando mi viene una certa idea mi piacerebbe scrivere un racconto o un libro, ma anche perché poi vi parlo dell''83 - che questa unione di fatti e di immagini non poteva che essere un film. E da allora ce lo avevo in mente e aspettavo il momento in cui potessi tirarlo fuori dal cassetto. Lo tirai fuori dal cassetto molto prudentemente dopo «Mery per sempre», mentre Marco Risi girava «Ragazzi fuori». Lo feci leggere a Marco che mi incoraggio molto, lo spedii al premio Solinas dove fu premiato e dove fu abbastanza facile farlo diventare film.
D. A proposito di «Mary per sempre» cosa c'è di reale e di vissuto nel romanzo che tu hai scritto? E quanto è vicino il film di Risi al tuo romanzo?
R. In quanto associazione io vi vorrei proprio pregare di leggere questi tre libri che ho scritto. Il primo è «Mary per sempre», il secondo si chiama «Le buttane» e il terzo si chiama «Storia di Enza» che diventerà il film che sto cominciando, perché io credo molto nella scrittura. So che è più difficile avere lettori che spettatori e in quanto associazione suppongo che voi leggiate libri e vi vorrei pregare - se riuscite a farlo - di leggere qualcuno di questi. «Mary per sempre» era un libro autobiografico diviso in due. C'era una prima parte di racconti in prima persona dei ragazzi, anche alcuni temi (comincia con tre temi molto disadorni e poi racconti da me ricostruiti, ma tutti in prima persona e con un linguaggio il più fedele possibile all'originale). Nella seconda parte invece racconto il mio punto di vista, il mio anno scolastico, il mio primo anno scolastico che si chiuse con un mio allontanamento - poi ci tornai a seguito di una indagine ministeriale, pure raccontata per documenti - e quindi raccont a il mio punto di vista rispetto al carcere. Quindi una doppia visuale. Michele Placido che fu il primo a pensare a questo film - Marco Risi ovviamente non l'aveva letto perché il libro usci in poche copie - ... Placido l'aveva letto su «Panorama» dove ci fu un'anteprima di qualche «pezzetto» di racconto, ma era difficile intuire il film. Lui invece, chissà come, ebbe questa intuizione e appena mi vide mi disse «No, tu sei troppo giovane, non posso fare a te questo maestro» e invece però aveva tanta voglia di farlo e quindi, per nostra fortuna, l'ha fatto, rispetto alla gamma dei suoi personaggi, uno dei più sentiti e anche dei più originali rispetto agli stereotipi televisivi. Anche per questo lui è molto affezionato a quel personaggio. Diciamo che è una cosa che nasce autobiografica e poi nel film, ovviamente, abbiamo modificato le cose perché venisse un film. Però è stato mantenuto lo spirito di questa esperienza, involontariamente e inconsapevolmente, pedagogica; non ero andato al Malaspina per fare il riv oluzionario... pensavo di trovare un istituto molto più novecentesco e invece mi sembrò di essere nel medioevo per come erano trattati i ragazzi, per la grande sfiducia che c'era in questi ragazzi.
D. Dal momento che la tua attività di insegnante si svolge in una scuola particolare che accoglie ragazzi affidati dal tribunale, come riesci a conciliare l'attività di regista con quella di maestro?
R. Mia moglie dice che voglio fare troppe cose e quindi come tutti quelli che vogliono fare troppe cose si accorgeranno che le fanno tutte male. Lei scherza però dice una cosa razionalmente vera. Certo non è facile, però ci sono un paio di cose che coincidono. Innanzi tutto mi metto in aspettativa, sottolineo senza salario perché da Sgarbi in poi queste cose è meglio specificarle, perché ovviamente quando faccio regia questo impegno non si può conciliare perché vai altrove e allora sono in aspettativa senza salario e in quel periodo faccio soltanto il regista tra virgolette. Invece fare l'insegnante, questo ce lo dicono molti, «Avete molto tempo libero». E' vero, infatti molti scrittori sono anche insegnanti. Per cui la scrittura, la letteratura e la sceneggiatura si possono conciliare. Certo faticosamente, ma per temperamento - purtroppo per mia moglie che, prima o poi, giustamente mi lascerà - sono una persona che se non ha un tavolo stracolmo di carte e scartoffie, cose da fare ecc. ecc.... se non vive in q uesto stato perenne di aver sempre dieci cose da fare contemporaneamente, e di scegliere quella che gli va più di fare, perché non ho mai scritto su commissione (perché dovevo scrivere) e se non ho questo stato di vita non riesco a sentirmi in pace con il mondo.
D. Riguardo alla colonna sonora di «La discesa di Aclà a Floristella», tu hai detto che la musica adottata nella versione del film non era la stessa che tu avevi scelto. Soprattutto si avverte un divario molto forte tra la musica dolce che accompagna alcune scene con quella molto più forte che sottolinea altri momenti del film. Puoi dirci qualcosa a questo proposito e soprattutto a ruolo che in questa operazione ha avuto il produttore?
R. In ogni caso voglio intanto dire che il produttore non mi ha imposto niente: glielo avrei impedito. La mia sintesi riguardo alla questione della musica è che mi sono fatto condizionare nel senso che le musiche non c'erano perché avevamo litigi ed io le avevo scelte da disco, le avevo piazzate in una copia lavoro e a me piacevano molto. Mi trovai molti contrasti e per questo dico che forse quelle musiche erano ancora peggiori di queste... io non lo so... io mi conservo la copia lavoro: un giorno se a «Blob» se la pigliano, lì a «Fuori orario», vedremo se a qualche sciagurato notturno interessa vedere qualcosa del genere. Quindi può essere che fossero sbagliate, ma io dico che Parsel è rimasto... quando scende..., Teleman sostituito da Bach, La Passione di San Giovanni, - e quella mi piace - non mi piaceva il canto turco che è il melodioso anche con un coretto femminile, un sopranetto femminile, non mi piace... mi piace in sé questa musica perché è molto melodiosa, ma non nel film. E lì mi sono fatto condizio nare perché - è colpa mia, tutte le responsabilità sono mie e non voglio giustificarmi in nessuna maniera -, a parte questo contrasto con il produttore (ordinaria amministrazione però perché litighiamo sempre!), mi sono sentito accerchiato anche da chi aveva contestato le musiche da me scelte... Il festival di Berlino, inoltre, ci aveva preso e bisognava avere entro febbraio il film pronto. Il direttore di Berlino non aveva amato le mie scelte, tenevo moltissimo ad andare al festival di Berlino - poi saltò subito fuori Cannes - ma le musiche oramai erano già preparate. Allora il direttore del Festival di Berlino disse «non mi piacciono!», il produttore lo stesso; bisognava sbrigarsi e a questo punto il Valzecchi mi ha detto «Ti prendi un musicista, altro che dai dischi o altro - e lavori con lui!». E' stato un lavoro, come vi ho spiegato, difficilissimo, lotte continue, e insomma alla fine purtroppo ci siamo tolti la parola e il saluto. Quindi queste sono le musiche delle quali mi assumo tutte le responsabili tà e infatti, rispetto alle altre critiche, questa io me l'accollo: le musiche, nel complesso, sono sbagliate secondo me: se non c'era il canto turco, Parsel e Bach andavano bene, non infastidivano, però Parsel e Bach, più il canto turco (cosiddetto però orchestrato modernamente) comporta delle musiche complessivamente sbagliate, sono d'accordo! Ma non mi sembra che da qui si possa dire che il film è da buttare via.
D. Il ragazzino quando viene picchiato dice che ha battuto contro un muro. La battuta ci ricorda un film di Marco Risi. Ti e' stato vicino durante la realizzazione de «La discesa di Aclà a Floristella»?
R. Sì io lo ringrazio alla fine Marco. Intanto stamattina ho chiamato solo lui, però lui non c'era, ma ha richiamato e ha mandato un telegramma all'Excelsio
R. Io stamattina sentivo proprio il bisogno di parlargli perché lui mi ha aiutato psicologicamente: mi diceva la frase «il regista deve scrivere solo a maturazione; se tu hai la storia da raccontare, la tecnica ci sarà». Poiché tutti e due avevamo vissuto «Ragazzi fuori» con grandi contrasti, anzi ancora più aspri perché ci fu chi lo amò e chi lo stroncò proprio del tutto, avevo voglia di sentirlo. Quando faccio un film, del resto, vorrei piacere a tutti ma m,i accorgo che proprio non c'è scampo e c'è sempre uno che mi dice «mi è piaciuto» e un altro a cui invece il film proprio non piace. Marco Risi lo ringrazio anche per altri motivi; fu il secondo, dopo mia moglie, a leggere la sceneggiatura, mi suggerì anche alcune battute, e mi ha aiutato molto psicologicamente. Del resto siamo veri amici e non uso la parola amico con superficialità. Io ho lavorato per questo film con Michele Placido, con Petraglia e Rulli, ho steso la sceneggiatura di Mary per sempre, ho avuto rapporti con tutti, però con Marco c'è stato qualcosa di diverso ed è nata questa amicizia.
D. Nella Sicilia di adesso, con gli attuali problemi di connivenza con la criminalità, ti è piaciuta la figura del ragazzino, che come personaggio è una persona che «non ci sta». E' legato a questo aspetto il messaggio lanciato dal film?
R. Io mi spavento un po' dei messaggi. Il cinema realistico, che racconta storie, e i fatti sono quelli e non si possono interpretare diversamente. Questo è un bambino che scappa, non si sa perché, per istinto, perché è testone, perché è cattivo, perché non vuole aiutare la famiglia che muore di fame e lui invece di lavorare per portare a casa i soldi e il pane se ne va... I fatti sono quelli e non ci sono metafore da svelare, non è un film - io non li ho visti ma ho letto - come «Orlando», con immagini del tutto metaforiche, probabilmente bellissimo... io ho una gran voglia di vedere questo film, o di Ioselliani pieno di simbolismi o altro. E' un film in cui i fatti sono quelli che sono nella realtà - piacciano o non piacciano - e sono pure documentati. Per questo temo la questione del messaggio; posso dire quello che sento e cioè che Aclà per me... certo vorrei siciliani così perché io ne conosco di siciliani che convivono con la mafia senza chiedersi «Ma tutta la vita con la mafia dobbiamo stare?». Aclà è u no che chissà come gli viene in testa, dopo due giorni di miniera, «Ma io tutta la vita così devo stare? Mio padre l'ha fatto...? Che me ne frega! Mio padre l'ha fatto...? I miei fratelli l'hanno fatto...? Che me ne frega... io qui tutta la vita non ci sto!». E infatti ogni volta che il padre lo pesta dice sempre «Non ci vaio, non ci vaio...». E' quasi illeggibile, però forse qualcosa si capisce: continua a dirgli io non ci vado e il padre lo pesta e gli dice «Devi morire in miniera» e il padre morirà in miniera infatti, come i fratelli. Certo è un bel siciliano, anche un bel lombardo... Io credo nella libertà degli esseri umani: la libertà è conquista, insomma. Io l'ho detto, per sconfiggere la mafia purtroppo ci vogliono altre persone che ci lasciano le penne. E questo è tragico, spaventoso dirlo, ma senza queste persone che sono disposte a combattere fino all'ultimo sapendo che domani le possono ammazzare... oggi, fra cinque minuti, e non vedono più i figli, le mogli... Questa realtà fa venire i brividi a m e siciliano, ma purtroppo così sarà sconfitta la mafia: con persone che avranno questa sorte e Dio, se esiste, sia sempre con loro.[Gianni Furlanetto]

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