Intervista con

Bigas Luna

regista del film

«Prosciutto prosciutto»

Venezia Lido, settembre 1992

D. Intorno ad ogni personaggio ci sono alcuni elementi che lo collocano a livello di stereotipo...
R. Nel mio film ogni personaggio è un simbolo.
D. Ed è in questo senso - come lo descrivi nel film -che leggi la società?
R. Sì, il film è una rappresentazione di personaggi molto comuni nella cultura mediterranea.
D. E per quanto riguarda il taglio che tu hai sempre dato ai tuoi film tentando di far emergere, non dico il lato ironico, ma la rappresentazione dell'umanità attraverso...
R. Sì di rappresentare la nostra società attraverso tutti gli elementi umani come l'erotismo...
D. L'erotismo è l'elemento drammaturgigo principale dei tuoi film?
R. Io penso che ci siano tre elementi importanti nell'essere umano: uno lo spirito - nella cuspide del triangolo - che è quello più importante e allo stesso il più semplice; poi c'è il corpo e a proposito di questo elemento si può parlare di umanità, sesso, mangiare e tutto quello che facciamo come animali razionali; il terzo è l'intelletto. Io penso che tutto si muove sotto la spinta di questi tre elementi.
D. E a proposito del rapporto tra sesso e cibo?
R. I miei film parlano molto di mangiare e di sesso perché penso che nella cultura mediterranea questi siano due elementi molto importanti. Il cibo perché noi siamo frutti di quello che mangiamo: siamo il risultato di quello che mangiamo e del clima in cui viviamo. Io parlo come parlo, sono come sono, per quello che ho mangiato. E questi sono elementi molto forti di una cultura. Per esempio una madre quando dice del suo bambino «Me lo mangerei», parla di mangiare quando vuol dire amore. In Spagna quando una ragazza è bella si dice è una «cica jamona» e si fa una associazione della donna con il prosciutto. Per quanto riguarda il sesso si può un po' dire la stessa cosa.
D. A cosa ritieni sia legata questa tua particolare visione della vita?
R. Io sono stato educato in una struttura cattolica dove c'è stata una certa repressione del sesso e forse per questo allora è diventato una cosa importante.
D. Quindi il tuo interesse per la componente erotica della narrazione della vita ritieni sia legato alla repressione del sesso vissuta negli ambienti cattolici?
R. Sì, perché è stato represso o perché è stato liberato... Non è che io sia a favore della repressione o della liberazione sessuale. Io penso che molta gente che odia il sesso... quando ero bambino sono stato molto represso in questo senso. Ma io ho molto amore anche per i miei genitori che mi hanno educato con una certa repressione perché capisco che era un'altra epoca; inoltre in quel comportamento leggo un'intenzione amorosa. Adesso il sesso rappresenta una cosa che io cerco di proporre soprattutto come elemento positivo.
D. Della Spagna cosa c'è nel film?
R. Molto, perché il film è un ritratto della Spagna.
D. Molte delle critiche mosse a «Jamon Jamon» da una parte della stampa italiana hai detto che non avranno seguito in Spagna. Si tratta forse di una cultura diversa da questo punto di vista?
R. No, sono molto simili la cultura spagnola e la cultura italiana. Io sono un nord-mediterraneo della penisola Iberica e non Italiana, ma io mi sento molto vicino a molti registi italiani e a molte cose della cultura italiana... C'è un'altra lingua, ma anch'io nel mio paese parlo un'altra lingua e cioè il Catalano.
D. Simbolicamente nel film cerchi uomini veri, virili. Ad un certo punto il toro viene evirato metaforicamente...
R. É un gioco riferito al futuro della Spagna, ora che siamo europei. Io sono per l'Europa ma in questa rappresentazione ironica denuncio il timore che diventare europei comporti una certa perdita di identità, che io simbolizzo con la perdita dei genitali del toro.
D. Guardando altro cinema spagnolo, come quello di Almodovar, emerge spesso, quasi un riferimento fisso, l'attenzione al religioso. Nel tuo film manca invece, almeno così sembra, questo riferimento a quel livello che tu stesso hai definito spirituale?
R. Ma io penso che sia impossibile sviluppare i personaggi del mio film al di fuori della cultura cattolica. Tutti personaggi del film hanno una attitudine verso il sesso, verso la vita, la madre, la prostituta... Solo una struttura del pensiero cattolica poteva portare ad un'immagine piramidale della struttura familiare. Anche la ragazza è una figura positiva, che non vuole abortire, vuole avere il bambino, ha dei problemi che una ragazza svedese, per esempio, non avrebbe avuto. Si parla di abortire, di non abortire, ma il problema è affrontato da un punto di vista interamente cattolico; non dico pro-cattolico, ma maturato all'interno di una cultura cattolica.
D. Cosa ne pensi del cinema americano?
R. A me non piace niente di americano e per me il cinema è molto più importante che sia fatto come avviene per il neo-realismo italiano. Anche se, avendo vissuto quattro anni negli Stati Uniti e avendo fatto due film in inglese, ho appreso molto del cinema americano e amo un certo cinema americano. Ma l'etichetta di americano proprio non mi piace.
D. Com'è stato lavorare con Stefania Sandrelli?
R. Innanzi tutto è bella, molto bella e poi si tratta di una donna con molta umanità. É l'attrice che recita immersa nella sua umanità.
D. Il personaggio che tu tratti meglio nel film è forse proprio la prostituta-mamma che è depositaria di valori inintaccati come l'amore per i figli. Fa la prostituta proprio pensando ai figli. A cosa è dovuto quest'«omaggio»?
R. Le prostitute sono persone che fanno un lavoro perché hanno un problema: c'è una grande tradizione nella cultura mediterranea. Sono personaggi con i quali io sono sempre stato molto carino.
D. La prostituta è quella che tratti meglio nel film?
R. Sì, è vero.
D. Nel film entrano in scena almeno due gruppi sociali, quello alto-borghese e quello dei poveri. La scelta ha seguito un criterio politico oppure no?
R. No, è un ritratto.
D. E in mezzo, tra l'alta-borghesia e i poveri, non c'è niente?
R. Finalmente tutto è denunzia politica, tutto è politica, ma io non la voglio fare. Io voglio mostrare solo quello che vedo con i miei occhi. Questo alla fine diventa politica, diventa denunzia, ma io come prima cosa non di politica non voglio occuparmi.
D. Sul set quale è il tuo rapporto con gli attori?
R. Io parlo con gli attori e li tratto come se fossero i personaggi. Se questo costituisce fonte di disagio per le persone, trovo che sia molto buono per la riuscita del film e anche per me.
D. Alzi mai la voce sul set?
R. No, mai. Io penso che quando un regista urla stia sbagliando lui come regista. Questa immagine del regista che urla proprio non esiste per me: tanto più è bravo un regista quanto meno urla. Un regista ha tutto detto e tutto spiegato: se gli attori lavorano male dipende dal fatto che il regista ha sbagliato a prendere quella persona oppure non ha spiegato bene le cose come crede di aver fatto.
D. Tu hai lavorato sia in America che in Spagna. Quali differenze riscontri nel modo di fare cinema?
R. Sono due modi diversi di fare cinema e a monte ci sono due forme diverse di mangiare: il cinema è un riflesso di questa differenza. Ad esempio l'équipe italiana o spagnola è un équipe che oggi ha molto lavoro, non so perché tutto va bene e tutti lavorano molto; domani io non sono molto di buonumore, ho litigato con il produttore forse... è un giorno amaro... Noi siamo così...
D. E in America?
R. In America è sempre tutto uguale. É una cosa che a me non interessa perché non c'è spazio per la genialità e per la creatività personale.
D. Questo tuo attaccamento all'area mediterranea, questo sentirla vicina, è anche la ragione per cui hai scelto per due dei tuoi film attrici italiane?
R. Prima di tutto io voglio essere un regista europeo e quindi cerco di coinvolgere nel mio lavoro il meglio che trovo in un'area affine alla mia cultura. Io non potrei aver fatto «Jamon Jamon» con un'attrice inglese, ma ho rischiato di fare un film molto spagnolo con due attrici italiane e in Spagna capiscono questa mia scelta perché sono due attrici che capiscono la mia cultura... nessun problema. Ma le ho scelte anche per delle ragioni particolari: per me la Donna nel cinema negli 70 è stata Stefania Sandrelli e io ho sognato Stefania Sandrelli... è una attrice che io adoro; aveva un ruolo che ho pensato fosse perfetto per lei ed ha accettato. Per la Galliena un'altra ragione...
D. Il film in che genere si inquadra, forse una commedia oppure...
R. Io dico un melodramma ironico surrealista...
D. Un altro autore che forse apprezzi è Bonwell...
R. Sì, Bonwell è il mio idolo privato perché è stato un regista molto importante per me, per il mio paese... sono nato molto vicino a dove è nato lui, capisco molto bene la sua vita, il suo lavoro. Ma apprezzo anche tanti italiani e mi ritengo un grande ammiratore del cinema italiano. Fellini, Ferreri, De Sica che è stato grandissimo... il mio film preferito è un film italiano ed è «L'oro di Napoli»: l'ironia, il cibo, la morte, il dramma è tutto là ed è un po' lo stesso tipo di cosa che a me interessa.
D. E la borghesia cosa è per te?
R. La borghesia è una miseria della società in cui anche io stesso vivo - io sono nato in una famiglia borghese catalana - ed è un difetto sociale; penso che la decadenza della borghesia è quello che salverà la nostra società. Inoltre la borghesia socialmente sta poi rivelando di non essere una cosa così positiva come doveva: i borghesi non sono mai generosi al 100% e allo stesso tempo non sono criminali.
D. La Spagna del tuo film è bella, solare: c'è l'amore, il buon cibo... è però il finale è drammatico. Cosa è che rovina la vita e che infrange la felicità dell'uomo?
R. Io penso che non è che il dramma rovini la vita... la vita è un dramma. La vita non esiste senza la morte; i greci dicevano che non c'è la morte, non c'è il dramma o lo spettacolo se non c'è la morte. Allora la morte è una cosa drammatica. Ma il dramma non è una cosa negativa. Noi della cultura mediterranea amiamo il dramma, anche in Italia. E a me piace fare ironia sul dramma.[Gianni Furlanetto]

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