Intervista con

Ousmane Sembene

regista del film

«Guelwar»

Venezia Lido, settembre 1992

D. Il tuo film mi è sembrato molto vero, quasi un documentario. A proposito dei problemi che denuncia nel film, vorrei sapere da te come vengono vissuti dalla popolazione... se si intravede una via d'uscita, soprattutto dalla piaga della corruzione.
R. Nessuno accetta la corruzione e la miseria. Nessuno l'accetta. Penso che si debba aver fiducia nei popoli africani. Il problema della quotidiana sopravvivenza è molto importante. L'Africa non ha fatto altro che tradurre tutto ciò che appartiene all'occidente inserendolo nella propria cultura. Ciò dipende dai paesi africani, dai popoli... ma addirittura i governanti africani.... Coloro che governano l'Africa (Senegal, Camerun, Gabon, Congo...) sono delle marionette nelle mani dell'Occidente. Bisogna conoscere tutta la storia dell'Africa ed è necessario comprendere la situazione dei popoli africani.
D. Vede una via d'uscita per l'Africa da questo dominio occidentale?
R. C'è sempre una via d'uscita. Altrimenti sarebbe la catastrofe. I giovani vogliono cambiare e cambieranno, ma è necessario che anch'essi conoscano tutto il passato per impadronirsi della storia attuale. Fino ad un centinaio di anni fa siamo stati colonizzati. In questi anni, per la prima volta nella storia, noi cerchiamo di dirigere il nostro popolo. Abbiamo dei cattivi governanti: sono malvagi. Tutti. Ma la nostra volontà è quella di cambiare la situazione e adesso stiamo prendendo coscienza - i popoli prendono coscienza - di questo necessità. Tra il 1990 e il 1992 molte cose sono cambiate in effetti. Molte e rapidamente. Da noi non ci sono più stabilità e consenso politico e ovunque si registrano sommosse popolari. Questa è una cosa buona. Come sarà, dunque, l'Africa di domani...? Sarà come sono gli africani e come ciò che essi vogliono. Altrimenti non c'è soluzione.
D. Quale è il tuo rapporto di regista con gli attori?
R. Gli attori del mio film non sono attori professionisti e per poter lavorare con loro io devo spiegargli tutto ciò che devono fare e come lo devono fare: è come una scuola. Lo stesso è stato per tutti i maestri dell'antichità. Per esempio, lo stesso avveniva per il cinema italiano tra il 1945 e il 1947. Penso che per il cinema africano adesso stia avvenendo un po' la stessa cosa: non ci sono attori professionisti in Africa. E siccome non ci sono bisogna scegliere gli uomini e lavorare con loro, tutti i giorni, per uno o due mesi, prima di cominciare il film. Non è il rapporto tra padrone ed operaio, ma è la cooperazione per portare a termine un lavoro che ci interessa tutti. Non ci sono persone che dicono: io vengo perché mi piace o io vado perché non mi piace... è ciò che gli italiani chiamano lavorare a vuoto. Non so come spiegarmi, per me è naturale.
D. Sappiamo che andare al cinema in Africa non è molto diffuso e che la gente più spesso vede la Tv. I film trasmessi sono quindi americani, giapponesi... Quale possibilità ha di essere visto il tuo film; quale distribuzione potrà avere nei paesi africani e, più in generale, quali potenzialità ha la filmografia africana?
R. É questione di politica. Sono i governi che decidono sui film fatti dagli africani. Noi abbiamo molta difficoltà sia a portare i nostri film nelle sale sia in televisione. Ma questa è la nostra lotta e noi siamo coscienti che tutto questo deve essere cambiato. Il cinema italiano è controllato dagli americani... Forse voi lo cambierete? Il cinema mondiale è controllato dagli americani: forse voi lo cambierete o avete cambiato questo stato di cose? Voi avete molti intellettuali, avete un buon governo... E allora? Vedete? Sì, per noi è più difficile, ma noi pensiamo e siamo sicuri che il cinema africano si farà strada. Noi abbiamo iniziato a fare cinema soltanto 30 anni fa. Adesso abbiamo più coscienza e la gente ha sviluppato la coscienza che è necessario conoscere la propria storia attraverso il cinema.
D. Nel film, ad un certo punto, parlando di coscienza un uomo porta il gomito alla testa. Qual'è il significato di quel gesto?
R. É un simbolo, una metafora. Un tempo, quando la gente non aveva il cuscino, per dormire faceva così: appoggiava la testa sul braccio. E tu devi parlare con la tua coscienza, con il tuo gomito. Hai capito? La notte quando non hai il cuscino, per appoggiare la testa, hai sempre il tuo gomito, che sta sempre lì davanti a te. Ciò significa che è un po' la tua coscienza ed è con la coscienza che prima di addormentarti devi parlare... Inoltre è necessario inquadrare questa simbologia nel contesto culturale contadino: i contadini parlano spesso ricorrendo alle parabole.
D. Il film è già stato visto in Africa?
R. No, questa è la prima volta in assoluto.
D. Sarà fatto vedere in Africa?
R. Sì, dopo Venezia uscirà in Africa... Tunisia, Senegal, Costa d'Avorio, Mali, Gabon... ovunque! Se il film non fosse visto dalla gente sarebbe come se non fosse mai esistito. É necessario che la gente possa vederlo perché un film esista davvero.
D. L'astio e la contrapposizione tra musulmani e cattolici sottolineate dalla storia del tuo film è così drammatica anche nella realtà?
R. Il film si riferisce ad una storia vera e non sono io ad averla inventata. Noi abbiamo questi problemi. Ma tra gli africani del Senegal, come di Mali, i musulmani sono la frazione più numerosa e i cattolici rappresentano soltanto una minoranza. Può accadere che talvolta si creino tensioni di questo tipo, anche se questa non è la norma... in ciascuna famiglia c'è un cattolico e noi viviamo in pace. Anche se io spero che non ci siano mai conflitti religiosi, so che potrò assistere a questi piccoli drammi. In ogni caso non è questa rivalità tra musulmani e cattolici che è importante. Ciò che interessa è perché quest'uomo è stato ucciso.
D. Con il tuo film accusi gli aiuti alimentari forniti dall'Occidente. Allora, a tuo avviso, quale è la forma in cui l'Occidente può dare un aiuto reale ai popoli in via di sviluppo? Cosa si può fare?
R. Niente!
D. Ritieni inutile anche la cooperazione attraverso organizzazioni non governative?
R. La cooperazione è un'altra cosa. É il partner in parità. Ma l'aiuto alimentare che si dà continuamente è sbagliato: i giovani non lavorano affatto. Non possiamo nutrire i popoli in questo modo ed è necessario che gli africani lavorino. Anche se poi ci saranno grandi piogge ed altre calamità. Ma noi sappiamo che l'Africa accetta... tutti i giorni giungono «doni» e tutti i giorni gli africani domandano. Non si può accettare questa situazione... un paese, un popolo, non possono passare la vita a mendicare. Tuttavia la cooperazione tra i paesi va molto bene. La tecnica è l'Occidente che deve fornircela. Noi dobbiamo comprendere e lavorare. Non abbiamo bisogno di consigli di persone che ci dicono ciò che dobbiamo fare e come dobbiamo farlo. La verità è che per noi è necessario imparare a conoscere i nostri stessi bisogni per poi cercare di risolvere i problemi. Non serve che qualcuno giunto dall'esterno, dall'Europa, dica: «Bisogna far questo, bisogna far questo, bisogna far questo!» Basta!
D. Quali sono le qualità migliori del tuo popolo?
R. Non lo so. É il mio popolo e, come tutti i popoli, ha i suoi lati belli e quelli meno belli. Io non posso dirlo: ci vivo dentro.
D. E delle missioni cattoliche che lavorano nel settore dell'animazione e dell'educazione giovanile, che ne pensi?
R. Formare è cosa molto buona. Ma mettersi al nostro posto no! Non bisogna affatto sostituire il popolo africano nelle proprie responsabilità. Se voi avete la tecnica, voi potete insegnarcela e così ci aiuterete.
D. L'incontro della cultura africana con la cultura occidentale ha fatto sì che gli africani rinunciassero a gran parte delle loro tradizioni. Il risultato mi sembra drammatico: un popolo che rinuncia alla propria cultura rischia di perdersi nella storia. Cosa ne pensi?
R. Sì, il problema è vero. Si pensa che l'Occidente sia migliore. Ma l'Occidente non è affatto migliore e non ha niente da insegnarci eccetto la tecnica. Niente sul piano morale, niente sul piano religioso neppure... Ma qualcuno ha messo nelle teste dei governanti africani che tutto quanto viene dall'Occidente è bene. Non è affatto vero. Noi conosciamo cosa avviene in Italia: nel sud c'è la miseria e la mafia; il governo non funziona bene e non è certo d'esempio. Per quale ragione allora dovrei io africano chiedere ad un italiano cosa devo fare?
D. Tu sei stato già Venezia nel 1988 con un tuo film e precedentemente anche come membro della giuria. A tuo avviso in quale misura è cambiato il modo di fare cinema in Italia? Cosa ne pensi poi della scelta «culturale» del nuovo direttore Pontecorvo e quindi dell'apertura ad un cinema in qualche modo «minore»?
R. A Venezia c'è sempre stato posto per i film africani. E in effetti non si può parlare del mondo senza l'Africa come l'Africa non può parlare del mondo senza gli altri. Ovunque dove sia presente una competizione, gli africani devono fare di tutto per essere là.
D. E nell'impostazione del festival non trovi sia cambiato qualcosa anche solo rispetto alle più recenti edizioni?
R. Tutto è cambiato e tutti hanno cambiato perché tutto si è evoluto. Venti o trenta anni fa si parlava dell'Africa con dei film etnografici: gli africani che danzano sull'albero. É così e voi siete cresciuti con questa idea dell'Africa. Ora tutto questo sta cambiando. Gli africani vogliono fare la loro parte nel panorama del cinema mondiale di domani. Ma lentamente, così come pure voi, lentamente, cambierete mentalità... tutti cambiano!

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