Intervista con

Paolo Virzì

regista del film

«Ovosodo»

Venezia Lido, settembre 1997
Ci sono stati più film da premiare che premi da distribuire aveva detto Jane Campion, presidente della giuria internazionale della LIV Mostra del Cinema di Venezia. E in questo imbarazzo il Leone d’oro è andato ancora una volta ad un film giapponese. Non a Yimou, che già in passato a Venezia aveva collezionato importanti riconoscimenti, ma a Takeshi Kitano che con il suo Hana-Bi si è aggiudicato il favore dei giurati. Il cinema orientale, fatto di atmosfere rarefatte e al tempo stesso intensissime, continua certo ad affascinare, al di là dei meriti del film, la nostra cultura alla ricerca forse di una spiritualità più profonda e vissuta. Hana-Bi è un film drammatico dove il mondo sembra crollare addosso al protagonista l'investigatore Nishi. Sua moglie è all'ospedale, è senza speranze, il collega Horibe ha ricevuto una pallottola in corpo e adesso è bloccato su una sedia a rotelle. I guai si sommano ai guai. Nishi arriva a pensare che rapinare una banca sarebbe la soluzione di tutti i problemi. Il ruolo di questo poliziotto a metà strada fra Melville e Scorsese lo interpreta "Beat" Takeshi, nome di battaglia dello stesso regista Takeshi Kitano, una star in Giappone, ma apprezzato anche in Italia, dove il suo film Sonatine fu premiato qualche anno fa al festival di Taormina. Gradita sorpresa di questo festival è stata l’assegnazione del Premio Speciale della Giuria al film "Ovosodo" (dal nome del rione centrale della città e nome dell'imbarcazione che partecipa allo storico palio marinaro) di Paolo Virzì. Livorno in passerella al festival di Venezia, insomma, dove Paolo Virzì, trentacinque anni, Livornese doc, entra nell’olimpo della cinematografia internazionale. Virzì è un toscano autentico, basta scambiarci due battute per rendersene conto. Aveva esordito un paio d’anni fa, sempre a Venezia, con "La bella vita" e anche allora cordiale, disponibile, pronto a dire che in fondo il cinema è importante ma è anche un gioco, un lavoro come un altro, forse non meglio di altri. C’è da scommetterci che l'idea di lasciare cineprese e "pizze" di celluloide per intraprendere la carriera di gelataio, magari in qualche isola dei Tropici, sia davvero uno dei suoi sogni nel cassetto. Lo dice sorridendo ma è lo specchio di una personalità alla continua ricerca di se stesso. La scelta di girare il film a Livorno corrisponde al tentativo di ripercorrere gli anni della giovinezza . "Sì, sto vivendo momenti abbastanza toccanti. Ho materializzato fantasmi del passato, come vecchi amici persi, scomparsi nella memoria, che sono riaffiorati e nemmeno troppo invecchiati. Ex fidanzate... per certi versi mi sono risparmiato qualche anno di psicanalista", dice Paolo Virzì. "La bella vita" (storia di operai e sesso contrastato sullo sfondo della crisi industriale) nel ’95, poi, quasi a tamburo battente, la commedia "Ferie d'agosto" e oggi... "Ovosodo", viaggio attraverso la vita di un ragazzo nato in un quartiere popolare, di Livorno, i suoi amori, i suoi desideri, le sue delusioni, la sua voglia di vivere. Film (uscita prevista a fine anno, primi del ‘98) per il quale Virzì si è affidato alla faccia pulita di un giovane studente, Edoardo Gabriellini, 20 anni, anche lui livornese doc, universitario a Lettere di Firenze. E Virzì quando gli si chiede del suo rapporto con gli attori, subito risponde che "bisogna lasciare aperta una porticina a quanto il caso offre. Perché se non si è disposti a questo può accadere che se le idee buone arrivano, le idee non si fermano se non sai coglierle" Del resto "Ovosodo" è un film che si affida quasi esclusivamente a giovani presi per la strada e dove si mescolano tante note, la neorealistica con quella del romanzo, del fumetto, della commedia. "E i ragazzi - afferma Virzì - non sono attori professionisti, a diciassette anni fanno ben altre cose. E poi non amerei questo film come l'amo se avessi utilizzato le facce convenzionali dei ragazzi delle agenzie, con la recitazione già impostata. Mi piace invece lavorare col sapore anche aspro della verità". Nel film, fotogenica, anzi bellissima, Claudia Pandolfi è stata definita da Enrico Lucherini "la nuova Mangano". Romani, ventitre anni, in "Ovosodo" crea al personaggio di Susy, la vicina di pianerottolo che Piero ritroverà cresciuta, cambiata, indipendente (la Susy più giovane, goffa e innamorata, è interpretata dalla sorella di Claudia, Enrica). Il protagonista è Piero (Edoardo Gabriellini) che racconta la sua vita dalla nascita ai giorni d’oggi, facendoci partecipi delle sue avventure, in particolare sentimentali e scolastiche: alle tragedie iniziali segue un progressivo assestamento, finché in fondo tutto si aggiusta, anche se Piero dice di continuare a sentire dentro di sé un "Ovosodo che non va su né giù". Sul cinema che fa Virzì ha le idee ben chiare. Secondo il regista livornese il cinema italiano dei nuovi autori, e anche di quelli meno giovani della generazione di Bellocchio-Bertolucci, non è mai stato così vivo, multiforme. "Chi lo attacca, con alle spalle buone commedie, ma anche con filmetti a episodi, - afferma Virzì - è in malafede e disinformato". Ritiene inoltre che quello in cui viviamo sia in fondo un momento particolarmente fortunato per il cinema italiano. "La gente ha voglia di tornare a vedere storie di casa propria". Preferisce parlare di cinema italiano e non toscano Virzì. "Parlare di cinema toscano mi sembra una superficiale semplificazione, anche perché i comici toscani ci sono sempre stati da Boccaccio in poi. Diciamo che c'è una circostanza favorevole, una semplice coincidenza. Ci sono tante esperienze cinematografiche diverse in Italia e molto vive - prosegue Virzì - oltre che a Napoli e a Roma, anche a Bologna, Torino, nel nord. In Toscana c'è una naturale predisposizione alla commedia che, magari, agevola il contatto col pubblico". "I nostri film piacciono anche agli "intellettuali", cosa che non accadeva con quelli popolareschi" dice Virzì . Dopo aver snobbato per molto tempo commedie di grande incasso, oggi abbiamo di fatto autori che conquistano frange di spettatori destinate a crescere. E abbiamo, senza dimenticare "il trash" persino un po' snob dei Vanzina, Pieraccioni, Nuti, Benvenuti e Benigni al lavoro, la scuola napoletana vivissima, da Martone a Capuano, quella romana di prima sponda con l'imprenditore-creativo Nanni Moretti e Bertolucci di ritorno in Italia. [Gianni Furlanetto]

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