Intervista con

Vito Zagarrio

regista del film

«Bonus Malus»

Venezia Lido, settembre 1992

D. IL TUO FILM «BONUS MALUS» HA AVUTO UN'ACCOGLIENZA DA PARTE DEL PUBBLICO MOLTO CALOROSA. PER QUANTO RIGUARDA LA CRITICA INVECE...
R. Da parte della critica ho visto alcune riserve... qualcuno dice fischi in sala... Mi sembra tuttora ci sia una piccola preclusione verso il cinema italiano. Non dico che la critica debba per forza aiutarmi, ma se la critica non è comprensiva del lavoro e della fatica che noi cineasti facciamo è il cinema italiano che non riesce a decollare. Io adoro Spielberg ecc. però credo sia necessario anche dare una mano ai giovani cineasti con i quali, se sei eccessivamente severo è chiaro che poi non li aiuti ad uscire e a crescere. Pensandoci meglio io credo che ci sia proprio un dovere in questo senso da parte della critica. Oppure bisogna essere molto chiari politicamente e dire «noi siamo contro, per esempio, la commedia: dobbiamo fare film di denuncia sociale». In questo caso si tratterebbe di un attacco vero, politico, frontale. Invece accade che la critica ti dice: «...ah, sì, carino però non ha risolto...» oppure «sì i personaggi sono bravi, però...»... Insomma spesso queste sono le cose peggiori.
D. DAL PUNTO DI VISTA DELLA SCELTA TEMATICA TU RIFIUTI IL CINEMA REALISTICO E DI DENUNCIA...
R. Sì, certamente il mio non è un film di denuncia. Speravo che i critici cogliessero un po' di più quel malessere che si respira dal film e che almeno io respiro nella società di oggi. E invece i critici lo hanno «preso» semplicemente come un film carino...
D. RIGUARDO ALLA COLLOCAZIONE DEL CINEMA ITALIANO ALLA MOSTRA DI VENEZIA E TENUTO CONTO DELLE VOCI ALLARMISTICHE DI CHI VEDE LA STESSA MOSTRA DEL CINEMA «VENDUTA» AGLI AMERICANI, TU COSA PENSI?
R. Io credo che sicuramente il cinema italiano risulti penalizzato rispetto a quello americano. Dal punto di vista del direttore della Mostra devo però dire che io farei la stessa cosa. Fossi il direttore di una mostra in crisi che deve competere con La Biennale ecc, è chiaro che prenderei un Jurassic Park, è chiaro che prenderei Tina Turner. Semmai c'è troppo americanismo di contorno, ma anch'io avrei preso Gus Van Sant o Mario Van Peebles se questi vengono. Io non sono anti americanista. Il problema è che ci vorrebbe più attenzione, magari un dibattito, per il cinema italiano. Io proponevo anche al gruppo Maddalena di parlare anche delle tendenze e non soltanto delle rivendicazioni politiche. E questo a costo anche di dibattere aspramente. Adesso Pontecorvo ha fatto questa grande assise degli autori che mi sembra bellissima, ma dovremmo essere proprio noi più giovani a fare un dibattito sul cinema italiano.
D. E IL GRUPPO MADDALENA CUI ACCENNAVI NON CREDI CHE POTREBBE FARE CONCRETAMENTE QUALCOSA IN QUESTO SENSO?
R. I gruppi spontanei sono sempre una scommessa. Adesso ci sono un paio di giornate di lavori organizzate presso la Settimana della Critica, vediamo che cosa viene fuori. La Settimana della Critica ci ha offerto uno spazio ma anche Pontecorvo ci ha promesso degli spazi e delle attenzioni. Sicuramente questo è l'unico momento in cui un certo numero di noi registi, sceneggiatori e attori ci siamo incontrati. Adesso si tratta di verificare se il gruppo Maddalena può diventare un punto di incontro, di pressione se non altro sulle forze politiche e associazionistiche.
D. DI FILM ITALIANI NE SONO STATI FATTI MOLTI, POI LA DISTRIBUZIONE E' INESISTENTE. TU COSA NE PENSI, COSA SI PUO' FARE PER POTER DISTRIBUIRE QUESTI FILM E FARE IN MODO CHE LA GENTE LI VEDA?
R. I problemi sono vari. O uno fa un film capolavoro e allora io credo che i capolavori si reggono poi con le loro gambe... se tu fai un film bellissimo con 200 milioni... Martone, Capuano... Altrimenti occorre una distribuzione che aiuti molto ma che per contro ti imporrà automaticamente dei compromessi: l'attore, il titolo... siccome mettono bocca anche altre persone diventa automatico che il film non è più solo tuo ma è collettivo, di altri. In ogni caso quello che si dovrebbe fare è molto a livello di pubblico esercizio e cioè imporre realmente delle giornate riservate al cinema italiano attraverso meccanismi di legge in grado di tutelare il nostro cinema.
D. IN PARTICOLARE COSA AUSPICHERESTI RIGUARDO AL FILM, LA TUA PRECEDENTE ESPERIENZA AMERICANA, ANCHE A LIVELLO DI STUDI, COME HA POI INFLUITO NEL GIRARE POI UN ROAD-MOVIES COME «BONUS MALUS»?
R. Tu lo consideri un road movies?
D. ANCHE!...
R. Sì, in realtà almeno un minimo c'è, anche se poi si tratta di un film che da questo punto di vista non può competere con il precedente che era completamente un road-movies. Certamente la frequentazione di un certo tipo di cinema americano mi piace. Mi piace la macchina che va sull'autostrada, mi piace il grande spazio, le pianure. E questi elementi ho cercato di inserirli in entrambi i film che ho realizzato pur sapendo, ovviamente, che il cinema americano, il paesaggio americano, le atmosfere americane e gli attori americani sono tutt'altra cosa e non sono riproducibili. Per il resto devo dire che la mia esperienza americana è stata più di studio teorico che non di studio con la macchina da presa. In America ho comunque fatto un film, un documentario su un regista strano un po' punk... Certamente la cinefilia americana ha sicuramente influito sul concetto del road, però poi il modo di riprendere, il modo di scrivere mi sembra molto diverso dal cinema americano.
D. IL FINALE DI «BONUS MALUS» TU LO LASCI APERTO. SE DOVESSI PENSARE A COSA FARA' IL PROTAGONISTA DOPO LA FINE DEL FILM COSA PENSERESTI...
R. Io penso che quest'uomo sia cambiato. Solo che non si cambia in maniera eroica, non si cambia improvvisamente e l'indomani si cambia lavoro, si schiaffeggia Tina Cenci, si prende il fucile in mano e si va in montagna. No, non si cambia così. Quello che narro in «Bonus Malus» è un cambiamento sottile che lascia intendere che qualche molla è scattata nel protagonista... Forse da domani sarà una persona migliore, forse da domani avrà un rapporto con le donne della sua vita un po' meno nevrotico, forse ha capito che la vita che ha fatto è una vita tremenda e che deve fare qualcosa... Magari andrà in Africa, magari si sposerà Valeria. Ed è probabilmente quest'ultima la soluzione più normale e più realistica: si sposerà Valeria, diventerà padre putativo del bambino e cercherà di essere finalmente se stesso.
D. TENDENZIALMENTE OTTIMISTA...?
R. Devi dare speranza alla gente. Anche le persone che hanno dentro un grande vuoto, se trovano un appiglio, forse rientrano nella propria vita: c'è chi reagisce con il misticismo, c'è chi reagisce con l'amore, c'è chi reagisce con l'impegno politico... Si tratta però di trovare una strada.
D. E TU...?
R. Anche nella mia vita c'è vuoto come in tutti... io ho tentato con il cinema, con l'espressione artistica, con il fare le cose che mi piacciono... Io chiaramente sono molto diverso da Aldo Viti ma anch'io ho il dovere dello studio, il dovere della ricerca o il dovere dello scrivere. E questo dovere è tanto forte che se sto senza lavorare per una settimana mi sento male... è una nevrosi come un'altra; se le mie giornate non sono dedicate in qualche modo a leggere, a scrivere, a pensare una sceneggiatura, a leggere un libro di cinema... la mia vita è vuota! Io reagisco con la produzione e il lavoro, altri lo fanno con la Chiesa, una setta religiosa, c'è chi lo fa con l'amore facendo tre o quattro bambini e trovando l'uomo giusto, c'è chi lo fa con l'impegno politico...
D. ED E' QUESTA SORTA DI PURIFICAZIONE INTERIORE CHE VOLEVI SOTTOLINEARE CON IL BAGNO FINALE?
R. Buttarsi nell'acqua era un tentato suicidio ma è anche un bagno purificatore: buttarsi in mare, lanciarsi nello spazio dopo tutto questo film claustrofobico fatto di interni, di grigi...
D. PERCHE' AFFERMI DI SENTIRTI PIU' COORDINATORE DI UN LAVORO COLLETTIVO CHE AUTORE?
R. Perché veramente in questo film siamo stati in molti a metterci le mani. Con gli sceneggiatori, con Monteleoni... abbiamo fatto tante riunioni per la sceneggiatura, poi abbiamo lavorato tanto in montaggio, abbiamo lavorato molto con gli attori... quindi è un film che davvero è a più mani.
D. E L'AUTORE VERO CHI E'?
R. Certamente l'autore c'è perché è quello che tira le fila, quindi quello che comunque fa passare i propri significati. Nonostante tutto il lavoro collettivo che possa esserci dietro un film credo del resto che il regista comunque firmi sempre una pellicola in maniera molto personale.[Gianni Furlanetto]

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