MOSTRA DEL NUOVO CINEMA DI PESARO

GIUGNO 1993

TAVOLA ROTONDA EVENTO SPECIALE RISI

LINO MICCICHE'

Mai come nel caso di Risi, il cinema è un'arte collettiva. Marco e Claudio Risi, che alla scuola del padre cineasta si sono in qualche modo formati e sono venuti tra di noi; Age e Scarpelli, Bernardino Zapponi, Armando Trovaioli e altri ancora che oggi sono qui.

A Valerio Caprara si deve la cura della monografia con cui ancora una volta abbiamo proposto Pesaro come luogo dove si gode il cinema, ma dove ci si riflette anche sopra. Vorremmo che la nostra celebrazione "risiana", con il consenso di Dino Risi, fosse non soltanto un momento di ri-godimento dei suoi film più godibili, ma anche un momento di riflessione e di dedicazione su un cinema che negli anni sessanta si è trovato spesso anche al centro di bufere polemiche e che oggi, a trent'anni di distanza, possiamo rimeditare in modo più quieto, tranquillo e documentato, assieme ad alcuni antesignani della "risologia" come Aldo Viganò, ad altri arrivati più di recente, come Valerio Caprara, e a qualche stroncatore pentito come me...

Non mi resterebbe che lasciare la parola a Caprara, augurare buon lavoro, e ricordarvi che la famigerata automobile del sorpasso è parcheggiata, andando verso gli alberghi, nella prima piazza dopo il cinema Astra...

Mordi e fuggi non è solo il titolo che d'accordo con Valerio Caprara - e desumendolo da uno dei noti film di Risi - abbiamo voluto dare alla monografia che costituisce il contributo della Mostra alla riflessione sul cinema di Risi. Potrebbe essere anche il mottetto della nostra edizione di quest'anno. Tollerate che ve ne dica due parole, non di più.

Noi siamo, come Mostra, partecipi di un momento molto difficile nella vita delle istituzioni culturali italiane. Vi sarebbero seri dubbi che la prossima mostra, quella del '94, il prossimo evento speciale, il decimo della serie, il prossimo seminario di Urbino, la prossima rassegna internazionale retrospettiva, possano intitolarsi, in modo originale - non c'è dubbio -, ultima Mostra Internazionale del Nuovo Cinema. E' un lamento che io spesso ho fatto al microfono pesarese, ma che quest'anno si presenta con particolari rischi. Uno scherzetto alla "mordi e fuggi", per esempio, della corte dei conti ha bloccato le nostre sovvenzioni '88, '89, '90, '91, '92. "Mordi e fuggi", quindi, perché il segretario competente della Corte dei Conti ha guardato, probabilmente anche su suggerimento di qualcuno frustrato dalle delibere della Commissione Centrale, i rendiconti degli anni passati e ha cominciato a eccepire - non discuto sulla giustezza delle eccezioni - cifra per cifra su tutte le fatture, i conti degli alberghi, le spese varie della Mostra. Il risultato è che un gruppo di manifestazioni - le quattro che ho detto: la Mostra, l'Evento Speciale, la rassegna retrospettiva e il seminario - rischiano di avere crediti solo teoricamente esigibili, centinaia e centinaia di milioni, e... la Mostra ha un suo costo. Non abbiamo niente da dire sulla eccezione in sé: la Magistratura Contabile fa il suo dovere - o il dovere che essa ritiene di doversi assegnare -, ma questa attenzione molto particolare, unica, alla Mostra Internazionale del Nuovo Cinema, come dire, non depone a favore dell'oggettività della Magistratura Contabile e rischia di portare ad una sola conseguenza: che la Mostra chiude. Abbiamo molti più debiti - alcuni dei nostri debitori (critici, saggisti, curatori) sono nella sala - che crediti esigibili. E il dio del cinema sa se la cultura cinematografica italiana debba qualcosa o meno alla Mostra di Pesaro. Tutto questo si inserisce in una situazione di collasso generale del rapporto tra denaro pubblico e manifestazioni ed istituzioni culturali; non riguarda certamente solo la Mostra Internazionale del Nuovo Cinema e le sue quattro attività. Tuttavia noi siamo particolarmente toccati, essendo noi una Mostra che investe tutto il poco che ha in produzione di cultura. E quando dico produzione di cultura non alludo a niente di accademico, di tedioso, di barboso, ma alla riflessione che dal 1965 cerchiamo di promuovere sul cinema. Sono dunque quasi trent'anni che la Mostra opera sulla scena culturale cinematografica italiana. Se essa dovesse chiudere non credo che sarebbe uno stringimento di cuore soltanto per coloro che l'hanno fatta nascere, ma probabilmente per un pubblico di giovani e di vecchi, di affezionati e di neofiti, che la frequenta. Studenti, studiosi, cinefili, critici, registi, cineasti, che qua sono più volte venuti.

E' un grido di allarme che questa volta ha maggior fondamento del solito. E che ha purtroppo come obiettivo i fantasmi: non c'è più ministro, non c'è più ministero... il paese ha altra cose di cui preoccuparsi. Sono cose più importanti e noi stessi sappiamo che sono più importanti. Tuttavia una linea politica che noi vorremmo il paese non perdesse mai di vista è quella di pensare al generale senza mai perdere di vista il dettaglio. Bresson diceva: è il dettaglio che è importante.

Non vorrei trasformare quella che deve essere una festa culturale attorno a Risi in un lamento funebre eccessivo. Tuttavia voi siete Pesaro, non noi. Noi lo siamo insieme a voi. Ed è anche a voi, alla vostra sensibilità, alla vostra capacità di informarne i lettori dei vostri giornali, di parlarne nelle vostre università, di dirlo agli altri che come voi sono venuti, o vengono, o vorrebbero venire, o potrebbero venire, o verranno, se continueremo, che i rischi di una istituzione come la Mostra di Pesaro sono rischi grossi. E che un paese democratico e avanzato non si distingue solo per una propria maggiore giustizia sociale, ma anche per una congrua politica culturale. Noi non l'abbiamo, vorremmo averla; pensiamo tutti che con la nuova Italia che tutti stiamo aspettando nasca anche una nuova politica della cultura che investa non soltanto le mostre, ma le mostre, le università, i centri della ricerca, il cinema. Il cinema che attende da anni, vanamente, una propria legge; il cinema che è stato ammazzato consapevolmente dalle opzioni mediologiche di una classe dirigente ora al tramonto: non vorremmo che ne sorgesse un'altra a fotocopia; il cinema che era per l'Italia un momento importante della coscienza del paese e che è stato trasferito altrove; il cinema che è quello che cerchiamo di ricordare, di studiare, di riproporre ogni anno a Pesaro, a Urbino, nei luoghi della retrospettiva e nell'Evento speciale; il cinema che sta nei nostri oltre 150 libri, nelle nostre centinaia di convegni e di incontri. Ma io vorrei finire invece con una nota di ottimismo, dopo avervi detto quanto la situazione sia deplorevolmente precaria. E la nota di ottimismo ci viene proprio da un cineasta come Risi che proprio ieri annunciava, non so con quanto fondamento già reale, un proprio prossimo film. Continuare ad operare, continuare ad operare come Risi senza lasciarsi intimorire dal tempo e dai tempi... Continueremo anche noi: il prossimo anno con un altro evento, con altri libri, con un'altra mostra, un'altra retrospettiva, un altro seminario, sicuri di rivedervi qua. E tuttavia, per alimentare questa speranza, era necessario che io vi dessi contezza di quanto la turba, di quanto la inquina, di quanto la può rendere incerta e insicura, l'attuale contesto. E adesso buon lavoro, grazie.

VALERIO CAPRARA

Grazie a Lino e direi di iniziare a lavorare. Certamente capirete che il compito questa mattina è abbastanza arduo. Innanzi tutto perché la presenza del festeggiato e la presenza dello studiato è particolarmente incalzante. Dino Risi, voi sapete, non ama celebrazioni, non ama cerimoniali e non ama neppure quelle disamine ardite che spesso fanno, appunto, il nostro gioco privato in una sorta di comunicazione interna che usiamo scambiarci in occasioni simili. Simili ma non come questa perché io penso che questa volta, anche nell'organizzazione di questa giornata, abbiamo cercato di tener presente appunto una polifonia di interventi, abbiamo cercato di montarvi letteralmente una mattinata, una occasione di studio e di incontro che riesca, almeno in parte, non tediosa o didattica, didascalica e nello stesso tempo che ci riesca a chiarire ulteriormente le idee. Perché se il mio compito è soltanto quello di disciplinare gli interventi e di organizzarli, devo anche dire che - se una riflessione posso porvi all'attenzione all'esordio di questo nostro incontro - con questa mostra, con questa personale di Dino Risi dovremmo essere usciti finalmente, anche se non mancano i testi anticipatori in questo senso, da quella alternativa secca, micidiale, che ha fatto un tantino la gioia e anche la tristezza di tante occasioni di studio e di incontro. Cioè il gioco della torre o della sostituzione: contrapporre un nome ad un altro, lasciare - come scriveva appunto Aldo Viganò - le benemerenze uguali e sostituire solo i nomi nel Pantheon. Credo che non sia più il caso, non siamo più costretti ad esibirci di fronte a voi in quel giochetto un po' sterile delle contrapposizioni: quel cineasta sì, quell'altro no... le differenze rimangono, altroché, ma forse, specialmente per quanto riguarda Risi dopo i volumi che sono usciti (il volume di documentazione), la vostra partecipazione e direi soprattutto il tipo di programmazione di film che qui a Pesaro è stata fatta... ecco forse possiamo porci di fronte al cinema di Dino Risi in maniera direi meno goliardica, cioè senza dover per forza dover andare a rileggere le critiche di un tempo per farci dei critici o degli studiosi che in tempi sospetti avevano espresso il loro giudizio spesso così ingiusto... non è il caso di sostituire a questo tipo di lettura una lettura che sia soltanto aggiornata nel linguaggio o toccata da quel morbo, da quel vezzo "revivalistico" che caratterizza un po' situazioni del genere. Credo che possiamo serenamente, col massimo di conoscenza possibile - e proprio qui è l'importanza dei numerosi film che sono stati recuperati, molti ristampati e proiettati a Pesaro - parlare di un oggetto vivo... Parliamo. Senza per forza di cose tornare al passato e giocare ai cow-boys e agli indiani, senza per forza schierarci in fazioni predeterminate, ma possibilmente mescolando i linguaggi, analizzando e sviluppando quella curiosità e quella capacità di analisi, quella passione di analisi che è la sola poi che può davvero unirci al di là delle salutari differenze di gusto, di metodologia e di schieramento anche se di schieramento culturale. Tra i saluti che Lino premetteva alla nostra manifestazione vorrei aggiungerne uno che mi è particolarmente caro e credo che faccia piacere a tutti quanti noi: è presente in sala anche Nelo Risi, cineasta e poeta, fratello di Dino, insieme ad altri che "prudentemente" si sono accomodati nelle ultime file.

Guai a noi se ci riducessimo a parlare tra di noi, tra critici o studiosi o filologi o, ancor peggio, cinefili; credo che loro dovranno venire e se possibile anche il dialogo di voi del pubblico e degli intervenuti dovrà svolgersi in maniera incrociata e per quanto possibile libera... In poche parole, gli ospiti sono anche a vostra disposizione: le vostre domande, le vostre curiosità, serviranno per costruirci questo panorama variopinto e, spero, non superficiale. Siccome però, dal punto di vista della storia della critica è pure necessario mettere un punto, credo di non contraddirmi se prego innanzi tutto Aldo Viganò di venire accanto a me a parlare insieme a noi. Aldo Viganò ha scritto la prima monografia importante che a lungo è rimasta anche l'unica... Con questa monografia, che era di Maurizzi editore, Viganò ha inaugurato, non un approccio "anti" la critica italiana coeva, ma ha cominciato a farci capire semplicemente, e anche acutamente dal punto di vista della lettura e dell'espressione che non è certamente l'ultima cosa in un film, il mondo di Risi, la questione del vitalismo. E io pregherei Aldo Viganò di dirci e di confermarci come ha fatto nel saggio a cura della Mostra di Pesaro, cosa di quel "mostruoso" vitalismo è vivo, vitale e cosa secondo lui è stato trasformato dalla grande evoluzione del cinema italiano attraverso gli anni Settanta e Ottanta, cioè quelli che sono venuti dopo la conclusione del suo libro che si arrestava, credo, ad "Anima persa", subito prima "La stanza del vescovo".

ALDO VIGANO'

Io vorrei fare una breve premessa. Credo di essere venuto qui per lodare Risi, non per seppellirlo, tanto meno in un mare di parole; quindi non vorrei fare discorsi che riprendono toni saggistici, che - tra l'altro - mi restano molto più facili stando seduto ad una macchina da scrivere. Siamo qui per parlare di Risi... primo dato del vitalismo allora, diciamolo subito: quando io ho conosciuto Risi - ho cominciato a scrivere il libro nel 1974 - stava girando a Genova "Corpo di donna"; Risi era alto con i capelli bianchi, bello abbronzato... identico ad adesso. Questo è il primo elemento che colpisce anche dal punto di vista fisiologico: Risi è rimasto abbastanza identico nel corso della sua storia di creatore cinematografico. Non che abbia fatto sempre lo stesso film, anzi tutt'altro: è rimasto identico il suo atteggiamento nei confronti del cinema. Un atteggiamento che può essere raccolto nella definizione di "vitale", di "vitalistico", soprattutto in riferimento al suo rapporto diretto con la realtà del cinema. Cioè di chi in fin dei conti...... nel cinema, dalla capacità che esso ha di parlare di personaggi, di vederli vivere dentro una realtà ben precisa e lasciare poi che da questi stessi personaggi nascano poi le possibili interpretazioni sociologiche, ideologiche, antropologiche che questi personaggi possono evocare. La cosa che più mi affascina nel cinema di Risi è proprio questa dimensione, questa dimensione che è così lontana dalla dimensione autoriale che ha caratterizzato invece le predilezioni della critica cinematografica italiana nei confronti degli autori italiani per i quali spesso l'elemento sociologico, antropologico, ideologico veniva prima del discorso sul personaggio. Questo è un tipo di riflessione che mi piacerebbe sviluppare... Ho sentito adesso con notevole soddisfazione che Risi sta per realizzare un nuovo film; finalmente anche perché, in fin dei conti, questo anno di celebrazioni stanno forse allontanandolo dal cinema. E' un anno, e direi il primo anno in cinquant'anni, che Risi non va dietro la cinepresa... forse è colpa nostra che lo abbiamo festeggiato troppo a lungo: da Assisi in poi l'abbiamo distratto da quella che è la sua funzione principale, cioè fare del cinema. Anche in condizioni disastrose come quelle che sono attualmente le condizioni del cinema. Anche farlo con Berlusconi, con le situazioni disastrose del sistema produttivo della televisione, comunque sia farlo! Ecco, un elemento fondamentale ancora del cinema di Risi è proprio questo bisogno di fare il cinema come bisogno fisiologico.

C'è un'altra considerazione, ed è l'ultima, che vorrei fare e che in fin dei conti è nata in me ieri: è la voglia di pensare al Risi, riflettere sul Risi che è stato, ma cercare di pensare ad una riflessione nuova... Ieri ho visto per la prima volta due cose di Risi, i due spezzoni, che non avevo mai visto e che sono appunto gli spezzoni riguardanti "Il siero della verità" e "La seduta spiritica"; non sono dei film su cui mi sembra valga tanto la pena di riflettere... sono semplicemente opere nate dentro una struttura di ricerca medica con tutti i limiti delle produzioni del tempo. Comunque mi piacerebbe, in futuro, riflettere sul tema "Risi e il teatro" che è proprio il tema che nasceva un pochino dalla visione di questi due mediometraggi, che sono riprese dirette della realtà, ma che sono terribilmente teatrali. Sembrano cioè sempre messe in scena di un teatro d'avanguardia. Lo spezzone "Il siero della verità", con l'albino sotto l'effetto del Pentotal, sembra una rappresentazione di Sant'Agata e Morgante, sembra messa in scena proprio nello stesso modo, dove la messa in scena - non sto parlando dell'attore, ma proprio del rapporto del regista con il mondo che ha davanti - è un rapporto tipicamente teatrale: c'è addirittura il sipario, dietro c'è l'uso delle luci come momento narrativo, la scenografia diventa a momenti importante, la cinepresa - e questo credo sia stato, ne chiederò conferma, l'apporto vero di Risi - si muove semplicemente per portare sempre in attenzione la recitazione dell'attore. E' cioè il vero che diventa teatro. Ecco, io credo che una dimensione teatrale, rovesciata, sia ben presente nella maggior parte del cinema di Risi. Mi piacerebbe ad esempio un confronto tra queste due opere - sto buttando lì solamente come ipotesi di riflessione - "profumo di donna" e "anima persa" dove appunto il concetto del teatro, cioè spazi che si restringono, attori che vivono in uno spazio ben definito, sono elementi fondamentali. Su questo concetto di teatralizzazione, o di progressiva teatralizzazione del cinema di Risi, qualcosa credo di aver già scritto, sia nel mio primo libro, sia nel saggio che è in "Mordi e fuggi", ma credo valga la pena di riflettere più a lungo su questo discorso perché è proprio un atteggiamento che appartiene più al teatro italiano che al cinema italiano. Sta cioè nei rapporti tra i personaggi e gli spazi... non sovrapporre la teoria alla pratica, cioè l'atteggiamento del "metter en scene" e non dell'autore come dicevano una volta i bravi critici della "politic des actores". E questo atteggiamento porta in fin dei conti ad un risultato che sembra ancora fondamentale nel cinema di Risi. Ecco il cinema di Risi riesce a realizzare sullo schermo quello che il grande teatro riesce a realizzare sul palcoscenico: la sospensione dell'incredulità, la piena consapevolezza razionale che tutto quello che noi stiamo vedendo è un qualcosa di falso, di ricreato, di ricostruito ecc. ecc. ... ma nel momento in cui lo vediamo vivere, vediamo l'autenticità indiretta. Questo direi che è il grande fascino del cinema di Risi nella sua dimensione più autentica. Poi, certamente, proprio perché è un cinema sempre in presa diretta con la realtà, subisce anche le variazioni e le differenziazioni della realtà... e questo è un discorso che è stato fatto tante volte durante la crisi profonda del cinema italiano degli anni Ottanta: anche Risi ha dovuto in qualche modo adeguarsi e accettare il concetto che, comunque sia, anche se la vita sta diventando una vitaccia, vale la pena di vivere.

DINO RISI

Io non ho l'eloquenza di quelli che mi hanno preceduto...

Grazie a Viganò, al professor Caprara... Adesso qui sento parole... allora per non esagerare con gli elogi vi consiglio di leggere... ci sono due libri qui alla mostra: uno giallo ed uno verde. Quello verde parla molto bene di me, quello giallo parla malissimo di me. Allora leggeteli tutti e due perché se leggete solo il giallo vi domandate come mai hanno fatto questa festa.

Ultima considerazione... siccome Micciché parlava della difficoltà economica in cui si dibatte la Mostra e ha parlato anche di pesanti spese albergo, volevo dirgli che io non ho fatto una telefonata e non ho usato il minibar... grazie.

BERNARDINO ZAPPONI

C'era soprattutto una prevenzione per un atteggiamento di degnazione e di vago disprezzo verso un tipo di cinema che era disimpegnato perché non affrontava i temi politici-sociali... la critica era invece impegnata, soprattutto a sinistra come ben si sa, e questo è un po' presente in tutte le critiche che avete scelto per il libro giallo, però ce n'erano anche altre più simpatiche e con meno preoccupazioni ideologiche in cui si parlava bene dei film... quelle sono state accuratamente scartate e quindi continua l'atteggiamento di degnazione nei confronti del cinema leggero che poi non è affatto leggero...

Io con Risi ho fatto anche dei film "impegnati": abbiamo fatto "Anima persa", abbiamo fatto "Mordi e fuggi", abbiamo fatto "Caro papà" che era - quest'ultimo - uno di quei film sul terrorismo che hanno anticipato fatti che poi sono avvenuti... sono arrivati un po' troppo presto e hanno lasciato un po' disorientato il pubblico... Il cinema ha infatti bisogno di trattare di cose già acclarate, già note, e non può anticipare... E anche in quei film lì tutto ciò che c'era di serio nel film è sempre stato attaccato... si diceva: adesso Risi si è messo ad affrontare certi temi che è meglio che lasci stare... Secondo me "Mordi e fuggi" era un film bellissimo, come era bellissimo "Fantasma d'amore", altro film molto serio, addirittura funereo, che è stato quello che un po' ha allontanato il pubblico; era bello anche "Anima persa", anche "Caro papà"... e anche lì purtroppo continuava questa specie di ombra, di dubbio, questa specie di "ombra del dubbio" che spero adesso finalmente sia dissipata, grazie a voi, grazie al pubblico... Si dirada l'ombra e risplende il sole.

VALERIO CAPRARA

Volevo dire una cosa prima di dare la parola ad Age e a Furio Scarpelli. Io credo che sia stata una contraddizione interna quella della critica sul cinema di Risi. In altre parole non credo che ci fosse una netta contraddizione, frontale, tra cultura di sinistra e cinema disimpegnato. Anche perché io credo - e Furio Scarpelli e Age potranno entrare duramente nella questione... non credo che loro si siano sentiti anche allora disimpegnati o non di sinistra - che si trattasse della differenza di valutazione della forza del proprio lavoro, del metodo di lavoro, del risultato del proprio lavoro, rispetto alla critica: c'è uno sfalsamento forse interno ad uno stesso schieramento e non uno sfalsamento così contrapposto. Questo poi in fondo è interessante e ci può sollecitare. Ad esempio Goffredo Fofi è stato uno stroncatore della commedia italiana con parole di fuoco, addirittura con svalutazioni totali. Ora, di fronte a questo tipo di approccio, vorrei proprio sapere da Furio e da Age quanto c'era di sbagliato o quanto c'era comunque di sincero e, per loro, di recuperabile.

SCARPELLI

A proposito di Goffredo Fofi... Fofi forse è stato il primo ad avventarsi violentemente, e direi anche con una certa sapienza e con una forza etica di cui gli va dato atto, però è stato anche il primo a fare la rilettura di tutto questo e ciò non lo dobbiamo dimenticare. Il riesame dell'"oggetto" lui l'ha fatto - e mi riferisco ad una frase che Caprara ha detto prima - quando l'"oggetto" era ancora vivo, non in un momento di declino e di ombra dell'"oggetto". Poi ha riletto, ha rivisto... è un po' nella sua natura quello di scagliarsi... Non è che adesso dobbiamo fare la radiografia di Fofi, ma Fofi soprattutto si scaglia su ciò che ama o su ciò che avrebbe desiderato amare: quello che lo spinge ad aggredire è cioè una specie di elusione che poi secondo lui viene addirittura prima dell'affermazione da parte di un autore di un'opera. Io non so quando Fofi ha riletto tutta la commedia all'italiana e l'ha riproposta in un altro modo... Di questo comunque io credo che gli si debba dare atto. Non perché ha rivalutato la commedia all'italiana, che noi abbiamo fatto, ma perché credo che i tempi della critica e forse anche i tempi naturali, organici, dell'esame di un'opera sono lunghi. Ora per fortuna la vita si è allungata e quindi ci sono degli autori che cominciano a godere di riconoscimenti che invece una volta avvenivano soltanto dopo che era stata posta la pietra tombale. Ma insomma io penso che questo sia del tutto naturale e non ce ne dobbiamo assolutamente dolere.

Siccome prima Bernardino parlava di impegno, io devo dire che anche questo è un termine che a me piace molto perché semplifica... è inutile che ci giriamo intorno. Age ed io - anche Bernardino mi pare - abbiamo fatto una piccola operazione - qualche volta ci è riuscita, qualche volta ci ha deluso, qualche volta ha deluso gli altri - che era quella di inserire nella commedia, con quella vitalità che c'era e spero ci sia ancora (è connaturata come diceva Viganò), degli elementi che secondo noi sono assolutamente essenziali proprio se si vuol fare una commedia, addirittura se si vuol fare una barzelletta. Cioè il significato, la sostanza, l'interiorità, la materia nascosta... Se quest'opera è ironica, allora l'impegno costituiva uno degli elementi che erano all'interno della pratica esterna di far commedia. Il far commedia su elementi privi di drammaticità io penso che sia assolutamente impossibile... Non dobbiamo fare pedagogia, ce lo eravamo promesso all'inizio, ma insomma l'ironia scaturisce matematicamente, tecnicamente, dal dramma: se non c'è il dramma nessuno può nemmeno tentare una barzelletta. Quindi questo è un fatto automatico. Allora l'inserire l'impegno che avevamo - io parlo per me, poi Age dirà la sua -, diciamo pure l'impegno politico, il vedere da sinistra è stato uno degli elementi che noi abbiamo voluto inserire nella commedia. Altri elementi sono stati in qualche caso la storicizzazione di brani della commedia, di fatti avvenuti, di fatti storici che riguardavano la guerra mondiale o cose del genere... Quindi io sono certo che le commedie che abbiamo fatto Age ed io sono proprio quelle che amiamo perché dentro c'erano questi elementi di fondo, drammatici, che qualche volta, secondo me per errore, non sono ritenuti idonei o congrui a fare commedia.

AGE

In questi casi, sì, uno pensa, come quando si parla di ciclismo, non parliamo del vincitore dell'ultima tappa di ieri, ma dei vincitori dei giri d'Italia di tanti anni fa. Per questo è allora importante il discorso che cerchiamo di fare. I riferimenti che sono stati fino ad ora fatti sono importanti e ricchi di significato. Io mi fermerò per farvi degli esempi che riguardano il cinema di Dino Risi: quello de "I mostri" e quello di un altro film che dirò successivamente.

"I mostri" è stato un film che è stato accolto molto bene dal pubblico, un po' meno come al solito dalla critica... eppure era una novità direi quasi in assoluto perché conteneva una quantità di personaggi con storie completamente differenziate. Il titolo "I mostri", per esempio in inglese, in America, ........ "Quindici per Roma", "Quindici da Roma"... effettivamente erano quindici episodi... questo è il titolo di quando il film è apparso negli Stati Uniti. Un caso di un film nato prima per un produttore che per un attore... il soggetto lo avevamo scritto assieme ad Elvio Petri per Alberto Sordi e il produttore Dino De Laurentis. Il giorno successivo noi abbiamo consegnato questo "trattamento" (c'erano molte delle scene che sono poi state realizzate nel film, con qualche variante successiva); il produttore Dino De Laurenti ci ha telefonato e ci ha detto: "Questo film ve lo fate finanziare da Togliatti". Allora abbiamo saputo abbastanza per caso che il produttore Mario Cecchi Gori - che non ha niente a che vedere con l'attuale - doveva fare un film con gli attori Gassman e Tognazzi. Siccome noi avevamo questo soggetto pensato per Sordi, che a sua volta lo aveva rifiutato perché "troppo di sinistra", e questi attori e questo produttore accolsero la proposta e il film fu realizzato poi con l'intervento dei nostri amici Maccari e Scola... naturalmente noi al posto di quello dovemmo scrivere che eravamo impegnati - il contrario che con Dino De Laurentis - e abbiamo fatto con Elvio Petri "Il maestro di Vigevano" e che è anche un po' meno riuscito e meno importante dei mostri... Questo è un caso, poi c'è un'altro film, "In nome del popolo italiano" su cui vorrei spendere un paio di parole. In questo caso si è trattato di un film che in qualche modo ha preceduto la realtà: l'argomento era quello di Tangentopoli, di un magistrato che prende l'iniziativa di aggredire, di inseguire un uomo di potere, e che con il potere condivide la propria forza e la propria arroganza... bisogna cercare di incastrarlo e siccome non ci si riesce nei modi legali, lo fa in modo illegale. Cosa quest'ultima che fu molto discussa proprio dagli stessi magistrati e dalle persone "rette" che dicevano "questo un magistrato vero non lo dovrebbe mai fare". Indipendentemente da questa polemica, ci tengo a dire che amiamo in modo particolare questo film e quell'impegno.

ALFREDO BALDI

Il Centro Sperimentale di Cinematografia è molto lieto di essere stato invitato dalla Mostra Internazionale del Nuovo Cinema ad organizzare, insieme alla Mostra, questo evento speciale, ossia questa retrospettiva dedicata a Dino Risi. Non solo perché forse Dino Risi è forse tra gli autori della sua generazione "il più amato dagli italiani", ma anche perché ci ha consentito - questa è stata l'occasione per il Centro Sperimentale - di completare la nostra collezione, la nostra filmografia di Dino Risi che era ancora in parte mancante. Abbiamo indubbiamente sostenuto un certo sforzo, non solo finanziario, ma più che altro lo sforzo in questi casi è di luoghi, di persone che devono andare a cercare i negativi dei film, che devono andare a trovare chi sono gli aventi diritto, perché una volta che il negativo è stato trovato non è così semplice ed istantaneo perché bisogna avere l'autorizzazione del proprietario. Questi spesso da l'autorizzazione se si tratta del Centro Sperimentale, ma qualche volta ci sono anche dei problemi. Per fortuna in questo caso, visto che i diritti erano della Titanus con la quale il Centro intrattiene buoni rapporti, è stato possibile ristampare un certo numero di copie che il centro non possedeva. Quindi abbiamo potuto presentare a Pesaro 28 copie sulle circa 60 che sono state presentate (quasi la metà delle copie provengono quindi dal Centro Sperimentale).

Vorrei aprire una piccola parentesi perché questa occasione appunto di recuperare il cinema di Dino Risi è stata possibile solo grazie appunto ad uno sforzo particolarmente intenso che però rischia di essere vanificato se lo stato non da' dei mezzi maggiori, non solo al Centro Sperimentale, ma a tutti coloro che in Italia si occupano di conservazione e di restauro e di valorizzazione dei film, cioè delle cineteche - sia pubbliche che private -. Purtroppo questo è un argomento molto carente: in questo campo da parte dello Stato c'è una carenza notevole. Il Centro Sperimentale si è fatto quindi promotore di una iniziativa proprio qui a Pesaro, insieme ad altre due cineteche pubbliche (l'archivio del Luce e la Cineteca del Comune di Bologna), per indirizzare a Maccanico, che attualmente è il ministro che ha la delega per lo spettacolo, una petizione perché siano assegnati maggiori mezzi alle cineteche italiane per costituire un coordinamento tra tutte le cineteche italiane pubbliche e private. Questo perché si possa arrivare a coordinare tutti i mezzi al fine di poter salvare quanto più possibile il patrimonio di film che ancora sopravvive.

Ricordiamo che per quanto riguarda il cinema muto italiano ormai almeno l'80%, ma forse anche di più, è assolutamente perduto, è scomparso. Per quanto riguarda il cinema sonoro, forse sopravvive il 50%. E non parliamo soltanto del cinema degli anni Trenta, degli anni Quaranta o Cinquanta quando le pellicole erano infiammabili, ma parliamo dei film di oggi, anche i film di Risi degli anni Sessanta, degli anni Settanta, se non vengono presi provvedimenti urgenti di conservazione rischiano di scomparire entro i dieci o al massimo venti anni per quei fenomeni, che ormai tutti conoscono, di degrado della pellicola. Speriamo quindi che il nostro appello che esporremo in tutte le cineteche italiane consenta poi la costituzione di questo coordinamento tra cineteche... vorremmo andare da Maccanico ed esporgli i gravissimi problemi della conservazione dei film per riuscire ad ottenere finalmente qualcosa di concreto.

Poi, tornando al tema di questo incontro, io vorrei dire solo due parole su uno dei primissimi film di Risi, cioè sul secondo film, se non sbaglio - almeno così risulta dalle filmografie - che è un documentario: "Barboni" che è stato girato nel '46 ed è stato presentato alla Mostra di Venezia. Dice Risi a proposito del suo primo documentario, che era i "Bersaglieri della signora", "anche "Barboni", come "I bersaglieri della signore", era uno dei primi documentari realistici mentre ancora si facevano per lo più i documentari paesaggistici oppure d'arte". E in effetti questo è tanto vero che "Barboni" sul quale io ho fatto una piccola ricerca semantica... la parola Barbone, la dizione barbone così come è oggi intesa, non appare nel nuovissimo Metz (è del 45 mentre il documentario è del '46). Nel dizionario etimologico italiano del '50 di Giovanni Alessio e Carlo Battisti, cioè il professore Umberto D, ancora questa accezione non appare. Appare soltanto nel nuovissimo Palazzi del 1957 dove alla parola "barbone" viene anche data l'accezione, il significato vagabondo, senza tetto e mendicante. Questo volevo sottolinearlo per evidenziare già a quei tempi l'impegno di Risi per una realtà che non fosse solo quella ufficiale, ma anche per la realtà degli ultimi, dei poveri, per i diseredati. Volevo anche leggere brevemente una recensione tratta dal "Film quotidiano" del 14 settembre '46 che riferisce appunto sulla mostra di Venezia dove il documentario fu presentato e dove fu anche segnalato come miglior documentario dalla segnalazione dei giornalisti (nel '46 - vorrei ricordare - non c'erano premi alla Mostra di Venezia, ma c'erano soltanto segnalazioni per cui la segnalazione aveva il valore di un premio). Questa recensione di Signorini che peraltro non è molto... addirittura dice: "occorre spiegare che "Barboni" si chiamano in gergo quegli individui che dormono non si sa come, che vengono non si sa da dove e che vivono un po' a margine della società. Quindi volevo sottolineare che Dino Risi ha fatto un documentario su un aspetto che per quell'epoca era, non dico assolutamente nuovo, ma senz'altro molto poco conosciuto e di questo gliene va dato atto.

PATRIZIA PISTAGNESI

Intanto noto che Caprara è cattivissimo stamattina: ci riprende tutti, giustamente. Parlavo sottovoce con Maurizio Grande, mio amico e collega, precisando alcune cose che erano veramente avvenute. Visto che siamo ricaduti nel parlare del passato, e visto che comunque in sala ci sono tantissimi giovani forse è meglio non rimuovere, dato che ci siamo, e dire le cose come stavano. Come stavano ad esempio quando io feci la mia prima intervista televisiva a Dino Risi nel 1977 per l'uscita di "Anima persa" e che andò in un onda su un programma di Arbore che si chiamava "L'altra domenica". La situazione in quegli anni era abbastanza drammatica... la critica italiana di sinistra, e non io, era abbastanza omogenea e omologa nel trattare con sufficienza... % ... c'erano delle critiche che secondo me si sarebbero potute utilizzare nel libro giallo - che invece secondo me è un libro importantissimo perché evita le rimozioni - ed erano le critiche d'Oltralpe, cioè era il lavoro che stavano facendo i critici amici francesi a Parigi rispetto a questo cinema... io ricordo che a Parigi c'erano gruppi di critici, gruppi di amici appunto, che parlavano estremamente bene del cinema di Risi e che noi avevamo la fortuna di poter leggere, sui cui testi noi avevamo la fortuna di poter riflettere e quindi guardare questo cinema con occhio abbastanza diverso. Questa è la prima cosa che volevo dire. L'altra precisazione riguardava Goffredo Fofi: non è affatto vero che Fofi fu il primo a rivalutare e a pentirsi, anzi... A parte che finalmente qui ci sono rappresentati anche gli irriducibili, visto che vogliamo fare un discorso attaccato alla realtà.... cioè ci sono stati degli irriducibili che sempre amato, studiato e compreso il cinema di Dino Risi e ci sono stati degli irriducibili che più o meno mascherati - anche se oggi si sono mascherati - non l'hanno in realtà e se non altro molto compreso. E Fofi, mi dispiace dirlo con tutta l'amicizia e la stima per altre cose, è venuto dopo. Nel Sessantotto qui a Pesaro confluì un'opera di rilettura, di revisione critica di tutto il cinema italiano degli anni Cinquanta e dei primi anni Sessanta con al centro, tra le altre, proprio la figura di Dino Risi. E questa è la seconda precisazione. Inoltre bisogna aggiungere che la rivalutazione che fece Fofi era come minimo approssimativa: mise insieme Dino Risi a Totò e ad altre cose in un alveo che non era assolutamente comune a tutte queste persone. Venendo qua, in treno, ho avuto modo di leggere un articolo di Fofi sul cinema italiano... e volevo dire venendo qui solo delle cose affettuose ad una persona così adorabile e meravigliosa come Dino, invece leggendo questo articolo ho detto che forse ci sono anche delle cose più interessanti e più divertenti... infatti cosa dice Fofi...? Fofi dice praticamente permettetemi di essere anche un po' volgare... i padri del cinema italiano si sono rincoglioniti, per fortuna che ci sono dei grandi figli che fanno un cinema calato nella realtà, meravigliosa ecc. ecc. . Io sono rimasta sconvolta perché ho detto forse è Fofi che ha un problema di senilità o forse sono io che ho un ottica scorretta... qualcuno spero che oggi mi faccia cambiare idea... perché io credo invece che il problema sia che in qualche modo nel cinema di Dino Risi, ad esempio, c'è - e qui recupero le cose che volevo dire prima - in una grossa parte quel tipo di impostazione, quel tipo di atteggiamento, quel tipo di cultura cinematografica che noi abbiamo un disperato bisogno di recuperare oggi perché la situazione oggi è tale che proprio quel superamento della realtà in senso squisitamente cinematografico che c'è nel cinema di Dino Risi è cioè che la nostra scena sembra aver completamente dimenticato. Allora io invece penso che - così come per tanti anni mi sono data da fare per esportare la commedia italiana nel mondo, da Parigi a New York, cercando di recuperare e di far capire tutte le caratteristiche di questo genere - di quel cinema bisogna recuperare altre cose, bisogna recuperare quello che in quel cinema, ad esempio nel cinema Dino Risi, lo accomuna ad altra parte della nostra tradizione dimenticata: ad esempio di Antonioni. Nel cinema di Dino Risi esiste un atteggiamento di metabolizzazione del dato realistico, di superamento di questo dato che gli permette poi di avere una capacità di sintesi e di senso rispetto alla realtà che ci circonda... E' un elemento preziosissimo ed è un elemento sul quale oggi mi interessa riflettere perché potrebbe essere apparentato all'elemento di teatralità di cui parlava prima Viganò. Non a caso queste cose, credo, ci sono venute in mente vedendo per la prima volta alcuni documentari come "Buio in sala" ed altri e rivedendo "Profumo di donna" e "Anima persa"...

Perché ogni volta che c'è una crisi estetica, oltre che produttiva ecc. ecc., del cinema italiano noi dobbiamo fare questa chiamata alla realtà, al realismo; Per quale motivo, per quale motivo non possiamo cercare di - leggendo, studiando, vedendo i film, confrontandoci, facendo dei convegni e delle discussioni come queste, di tornare appunto a cercare una tradizione, una ricerca che pure esiste nel nostro cinema. Io credo per esempio che possiamo allora fare una filmografia ideale di Dino Risi, proprio quella filmografia che mette più in luce il suo occhi antirealistico, quello che travolge di volta in volta in maschere, in tic, in gag, in iperboli, in metafore, in categorie completamente diverse: quella del grottesco, del comico, del tragico. Allora questa filmografia ideale, sulla quale invito tutti a lavorare, secondo me passa da "Buio in sala", dal "Siero della verità", da "La seduta spiritica", da "Il sorpasso", "I mostri" fino ad arrivare ovviamente ad "Anima persa", a "Fantasma d'amore" e a "Tolgo il disturbo" per essere più recenti.

LINO MICCICHE'

Io non avrei voluto intervenire, ma ho sentito una sorta di chiamata in causa per cui mi sembrava - come dire - in qualche modo poco gentile sottrarsi...

Sì, è vero, io ho detto la battuta: sono uno stroncatore pentito! Ma era una battuta... non sono manco pentito come marxista, figuratevi se sono pentito come stroncatore. Io però distinguerei ed inviterei a distinguere... soprattutto - giuro che lo dico senza ombra di demagogia - ad una necessaria distinzione tra atto critico e atto storiografico. E' vero che non si fa storiografia senza fare anche critica... e tuttavia la critica ha una sua storia - Lorenzo Pellizzari nel libro verde tenta un abbozzo del rapporto tra critica e... -. La critica si trova sempre di fronte ad un ordine problematico diverso. Se non teniamo presente che l'atto storiografico consiste nel capire le ragioni del gesto, nel ricostruire in qualche modo le ragioni allora non apparenti, profonde del gesto - del gesto espressivo, del gesto critico, del gesto politico - e di cercare solo in questo senso di storicizzarlo... non ne usciamo altrimenti fuori. La mia generazione di critici ha avuto molto scetticismo sulla commedia all'italiana. Che faccio, mi pento?.. No, non sono affatto pentito. Se io dovessi per un assurdo - il carattere esemplificativo lascio all'intelligenza dei presenti capire - rivivere quelle stagioni come le ho vissute, probabilmente io - dico io ma non voglio dire io: dico io e la mia generazione - faremmo probabilmente le stesse cose commettendo gli stessi errori storici. Chiunque viva un presente commette l'errore di non avere in mano le linee del futura e quindi di non sapere in che misura partecipa alla costruzione del futuro, ma probabilmente rispondendo allo stesso imperativo. Perché?... Pensate che veramente possa essere un atto storiografico serio quello di credere che intere generazioni di critici possano essere talmente e precocemente rincoglioniti fin dagli anni Sessanta da non capire le valenze corrosive, testimoniali, documentative che la commedia all'italiana allora in qualche modo aveva e che certamente oggi, vista a distanza - emergono maggiormente?... Ma non credo che la storia si possa fare così classificando reprobi e reietti, dicendo io l'avevo detto fin d'allora, lui non l'aveva detto, lui l'ha detto ma si è pentito, lui non si è pentito sufficientemente ecc. ecc. Questo non è un modo di far storia, questo è un modo di far folklore vagamente storiografico. Quello che colpì una generazione di critici nella commedia all'italiana era la sua contraddizione di fondo. E la sua contraddizione di fondo era che nel dipingere una società di mostri, con un occhio forse necessariamente incline al pubblico cui essa doveva parlane, dipingeva questi mostri come mostri di una mostruosa simpatia. E' vero che c'è il mostro Gassman ne "Il Sorpasso", ma il mostro Gassman è simpaticissimo, molto più simpatico di Trentignan. Allora - voglio dire - probabilmente una critica che allora si illudeva - e questo è l'errore - di avere, probabilmente, compiti di testimonianza culturale militante, non politica, culturale militante, probabilmente ha creduto di dover più far leva sulla contraddizione, che c'era nella commedia all'italiana, che sulla verità, che c'era anch'essa. Se non consideriamo questa ipotesi scolastica e di analisi di ciò che si è svolto in quegli anni, non ne usciamo fuori. Era accaduto dieci anni prima con Rossellini, e la polemica sul tradimento, e le sciocchezze... - con un grado di stupidità che devo dire allora fu maggiore -... Questo lo dico perché io ricordo per esempio un film di cui certamente io non dissi bene che era "La marcia su Roma"... In un contesto in cui il paese cercava di rifarsi una coscienza antifascista di tipo estremamente generico, in cui vigeva il recupero del proprio qualunquismo che aveva improvvisato una enorme generazione di antifascisti il 9 settembre mattina o il 25 luglio verso il tramonto, ci fu un recupero di storia fascista che negli anni Cinquanta è stato possibile, su cui il cinema fornisse i 15, 20, 25 film. Pareva ad alcuni di noi - parve a me - che quel film, nonostante l'intelligenza della fattura, un'interpretazione assolutamente brillante, la godibilità di uno spettacolo fondato sull'intelligenza del gag, della battuta, del ritmo e dell'orchestrazione, facesse più leva su questa parte caduca e strumentale del recupero della coscienza antifascista che non su una parte consapevolmente storica di quello che era stato il problema reale del paese tra il 25 luglio e il 25 settembre. E siccome non è che ci si trovasse di fronte alle stanze della Cappella Sistina, il critico di allora assumeva - come dire - una posizione militante. .... se noi non lo spieghiamo così, il discorso sulla commedia all'italiana diventa inspiegabile in termini storici. E siccome non si può mai fare l'ipotesi che una nazione si sbagli, che una generazione sia tutta cretina, che un cinema sia tutto da buttare... queste ipotesi totalizzanti sono sempre ipotesi di comodo, io vi inviterei a riflettere, come noi invitiamo a riflettere studiando Dino Risi, sulla commedia all'italiana e la critica, e anche su Fofi se volete, non vedendo Fofi come un tenero pazzo che magari colto da improvviso pentimento venti anni dopo dice che: ...puzza tutto ma c'è una cosa che puzza di meno e quindi sarebbe un pentito di comodo. Le cose non vanno così!... L'illusione di quella generazione - che però aveva un dialogo, dove registi e critici avevano un dialogo che oggi non c'è più - era che il cinema da una parte, il far critica dall'altra rispondessero ad una sorta di imperativo categorico di deontologia morale... non era vero però - voglio dire - era un'illusione che forse le sue ragioni storiche le ha ed investiva tanto i cineasti che facevano il cinema, tanto i critici che facevano la critica cinematografica... nasce anche da questo la mancata comprensione in quel momento, in sede critica, di fenomeni poi apparsi rilevanti; ne cito uno molto più banale, molto più contenuto nel tempo, molto più ovvio nel bene e nel male, l'western all'italiana, ma non possiamo oggi ricostruire storiograficamente quel periodo dividendolo in cretini-ciechi e in ciechi, allora incompresi, consapevoli del futuro... non stanno così le cose e se pensassimo che stessero così potremmo smettere di f_

VALERIO CAPRARA

Devo dire che anche per quanto mi riguarda - e dovete credere che questa sorta unanimismo che ho cercato di recuperare nel dare la parola e nello stabilire le competenza e gli interventi fosse poi in realtà stata adesso smascherata - io credevo di essere stato chiaro, forse non lo sono stato... Devo dire che Lino in questo intervento non ha reso giustizia a quello che io avevo premesso. Io dicevo - credevo di aver detto - non attardiamoci - e continuo a dirlo - a fare polemica sulla critica negativa o positiva, su quel critico che aveva capito o non capito, su quella recensione offensiva e su quell'altra invece bonaria e pacioccona... dicevo non riduciamoci a questo giochetto. Ma io penso che la vera ragione di discussione e di scontro tra di noi è il metodo, la sostanza con le quali queste critiche e anche quelle di oggi vengono continuate a fare. Non è questione del critico che è stato bravo a parlar male di "Anima persa" o di quello che è stato cattivo a non capire "Il sorpasso"... Ce li troviamo oggi questi vizi: noi dobbiamo scontrarci lealmente - e qui davvero poi io mi levo da questa parte così equanime e divento più fazioso di tutti -. Bisogna assolutamente sfuggire questo tipo di sguardo al passato e di ping-pong con la critica di papà. Ci sono poi dei critici giovanissimi, adesso, che sono molto più rincoglioniti di quelli con cui non eravamo d'accordo allora; e penso che il modo di guardare al cinema, di studiare il cinema, di sentire le emozioni e lo sviluppo del linguaggio del cinema sia ancora oggi del tutto vivo e sia oggi quello il punto dove scontrarci, non andare a recuperare che quello aveva parlato bene di "Noi donne siamo fatte così" o meno. Andiamo a parlare adesso; c'è Marco Risi qui, andiamo a parlare di Luchetti, di Mazzacurati, del metodo Rulli e Petraglia, di Ricky Tognazzi, di Salvatores, come si parla adesso di questi film e cosa rappresentano come sviluppo del linguaggio cinematografico oggi questi film. Se ci sia bisogno o meno di neo, neo, neo, neo, neorealismo o meno, o ci sia bisogno di uno sviluppo - direi - imprevedibile, rischioso, e direi assoluto, del linguaggio cinematografico. E' su questo che ci dobbiamo scontrare, non è che io dicessi di superare quello che è stato il passato... Al contrario! Io dicevo: non andiamo a fare i giochetti dei frantici (quello ha detto era cattivo...)... andiamo invece a scontrarsi sull'oggi, e ce ne abbiamo di motivo: possiamo parlare di Moretti, di Salvatores, di Tornatore, dell'Archibugi... possiamo parlare di tante cose e scontrarsi su queste nel metodo.

SCARPELLI

Io so che Lino Micciché si aspettava che io gli dessi ragione e infatti io gli do perfettamente ragione. I suoi punti di vista, e anche ciò che rapidissimamente lo muoveva ad esempio a criticare quel film che si chiamava "La marcia su Roma". Se a noi piacque tanto il suo "Allarmi siam fascisti" la cosa non soltanto è comprensibile ma del tutto logica perché effettivamente un pericolo nel quale siamo caduti spesso senza rendercene conto facendo un certo tipo di commedia che si proponeva di popolarizzare significati più forti e più grossi... ci siamo trovati spesso a rendere simpatici personaggi e situazioni che non dovevano esserlo... non ce ne siamo resi conto. Può darsi che questa complicità con le canaglie messe in scena per cui poi diventavano simpatiche.. è stato comunque un vizio che noi abbiamo avuto. Adesso però, siccome parlate molto tra voi critici, qual'è stato l'apporto che la critica ha dato per chiarire questo punto? Micciché ha detto: queste cose erano scorrette, non ci piacevano, non corrispondevano ad una impostazione critica di una certa natura, di una certa genesi, e quindi noi sottolineavamo particolarmente questa specie di complicità che non era assolutamente presente in altri film, quindi nelle commedie veristiche, neorealistiche e drammatiche... Ma la critica che tipo di apporto ci ha dato; ci ha aiutato a chiarire che non bastava fare una commedia perché questa avesse diritto di essere apprezzata anche politicamente e anche sociologicamente perché si mettevano in scena certi vizi, certi personaggi che noi osservavamo, se poi questi personaggi diventavano simpatici e addirittura, in qualche zona, addirittura imitati?... Questo è un problema che forse andava posto allora, io non so, Micciché, quando sia stato posto... io ho la vaga impressione che non se ne sia mai parlato. Se qualcosa è nata, è nata all'interno di ognuno di noi in una forma forse blanda, forse senza crederci troppo... gli scontri su questo punto, insomma, non ci sono stati. Rimanendo su questo problema, che meriterebbe un convegno a parte, della complicità dell'autore con le "canaglie" messe in scena, e siccome Carrara ha parlato di nuovi autori dei quali ho la massima stima - io non sono d'accordo con quello che è stato detto poco fa, che non bisogna porsi almeno la domanda se i vecchi autori non si sono nemmeno rincoglioniti rispetto ai nuovi... io penso che questa sia invece una domanda che noi ci poniamo sempre e alla quale tra l'altro qualche volta rispondiamo anche positivamente, siamo anche un po' rincoglioniti, perché no... -... ci sono degli autori - è inutile rifare l'elenco anche perché non sono moltissimi purtroppo -... ma i io mi soffermo su Mazzacurati proprio per la questione del rendere simpatico cioè che invece dovrebbe apparire come esempio negativo. Mazzacurati ha messo in scena nel suo ultimo film lo stesso materiale umano di romani che usano un certo linguaggio che per decenni è apparso simpatico e da imitare e li ha resi, senza sottolineare troppo questa operazione, odiosi proprio come dovevano essere. Allora questo è un passo avanti rispetto a quello che abbiamo fatto noi e che in qualche modo giustifica Fofi...

BERNARDINO ZAPPONI

Parlerò molto brevemente... a proposito del fatto di assolvere, questa complicità, questa simpatia finale dei mostri, io non sono del tutto d'accordo. Per esempio è stato un critico francese, addirittura un "Nouveau philosophes" (??? filosof) se non sbaglio, il quale ha d˙SMB€€¸3ha preparato il terrorismo, nella commedia all'italiana c'erano già le brigate rosse. Evidentemente i personaggi non erano poi tanto simpatici. Il messaggio di mostruosità che c'era in questi costruttori abili, in questi sciagurati, corrotti... evidentemente era molto recepibile se si è arrivati addirittura a dire una cosa simile. Quindi non mi pare che sia del tutto risolta la questione. Poi vorrei dire un'ultimissima cosa a proposito della critica d'Oltralpe ossia dei francesi i quali hanno sempre guardato con enorme simpatia alla commedia italiana; tanto è vero che l'ultima volta che sono stato in Francia e si parlava di un film secondo me non riuscito e che era "Teresa" secondo me abbastanza infelice... ne parlavo con Jan Gillì il quale diceva: ... ma no guarda, il film non è affatto male, c'è il personaggio di Eros Pagni che è straordinario, ed è un film in cui ci sono le solite eleganze di Risi ecc.... alla fine si arriva sempre alla storia del solito bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Per la critica francese la commedia all'italiana, e quella di Risi in particolare, è comunque un bicchiere mezzo pieno, mentre per i critici italiani era sempre un bicchiere mezzo vuoto quando non addirittura vuoto del tutto.

MAURIZIO GRANDE

Non sono d'accordo su nulla... bisogna fare ancora delle premesse e dire che l'eroe comico è simpatico da Aristofane in poi... e questo è ovvio: c'è tutta la teoria del comico. Dobbiamo ancora difendere la tradizione del comico, la cultura del comico... è una larga parte della costruzione della cultura in un paese dello spettacolo. Naturalmente lo spettacolo ha i suoi riflessi nella società, ma bisogna distinguere tra problemi di conoscenza e appunto problemi di atti critici e di storiografia dell'atto critico: sono cose completamente distinte e prima mi veniva da ridere pensando che se prima Age e Scarpelli, per esempio, si dovevano difendere dalla critica perché avevano successo di pubblico, adesso si devono difendere perché hanno successo di critica e perché sono lodati...

Sgombrato il terreno dall'idea che il comico debba essere difeso e che ogni volta debba esserci un preambolo per dire: ma guardate che cos'è comico ecc. ecc. ... secondo me un contributo che posso dare naturalmente sempre lo stesso. Io mi occupo da anni, e mi sto occupando, della tradizione italiana. Cioè che cos'è il cinema italiano e che cosa fa l'italianità del cinema italiano in generale e soprattutto nel cosiddetto cinema di commedia. Io ho detto più volte che la commedia cinematografica italiana - magari questo si può riprendere, si può discutere, si può fare un convegno sulla critica e sui metodi critici - è il cinema italiano del dopoguerra e che il cinema italiano del dopoguerra copre il largo raggio che in altri paesi è coperto dal grande romanzo dell'epopea borghese. L'altro lato della nostra tradizione da coprire è il melodramma perché noi abbiamo sempre studiato e fatto riferimento al rapporto tra lo spettacolo comico contemporaneo e l'esaltata, supervalutata, commedia dell'arte. Abbiamo dimenticato che una parte della nostra tradizione per esempio è il melodramma (dal '700 e anche prima). Allora dicendo questo e riprendendo questo lavoro sulla identità della nostra tradizione, sul rapporto tra nostra tradizione e il cinema italiano, sul rapporto tra tradizioni comiche e il resto della tradizione per altro da noi prevalentemente letterario-astratta, molto manierata... riprendendo queste fila, lo studio di questa tradizione, io penso che bisognerebbe approfondire meglio, dal punto di vista dello studio, che cosa è stato in questo caso il cinema di Dino Risi nell'arco di quarant'anni. Ieri sera proprio Micciché, presentando questo incontro, diceva: ha attraversato sostanzialmente tutto il cinema e tutti i generi... e questo è vero! Non si può parlare assolutamente di commedia all'italiana in nessun senso, né elogiativo né dispregiativo, per il cinema di Dino Risi... ritengo addirittura che il termine di "entomologo" sia molto riduttivo e molto approssimativo - non mi sembra un naturalista che sta lì a guardare dietro la lente quello che accade. Risi ha praticato invece una "smarginatura" dei generi molto forte ed ha addirittura una capacità, all'inizio (anni 50 e 60), di costruire commedie a sfondo etico dove c'era il sociale, la storia... e poi cambia la società e, guarda caso, mi sembra che l'evoluzione, la trasformazione, il cambiamento di Dino Risi che mi sembra sia andato verso un cinema di melodramma.

Recupera un'altra ......di Opera buffa, è come se i tenori degli anni Sessanta diventassero dei bassi, dei Rigoletti... E non c'è niente da fare, mi sembra che "Caro papà", "Anima persa", "Profumo di donna" è la tradizione del melodramma recuperata in una società in cui apparentemente tutto cambia, ma nulla cambia - gli anni Settanta e Ottanta -... Due grandi spettacoli di identificazione sono la partita di calcio, il concerto rock e poi più tardi la televisione e soprattutto l'ultimissimo grande genere che è Blob... Dentro tutto questo l'unica cosa che si può fare è il discorso della teatralizzazione di cui parlava prima Viganò: si chiude, si teatralizza il rapporto, si costruisce il melodramma di fronte ad una società alla quale non si può più dare una narrazione a grande trama. Credo che quello sia stato il passaggio e questo è anche il passaggio della nostra tradizione cinematografica che ha sempre avuto rapporti con la tradizione comica - commedia dell'arte, opera buffa, trasformazione dell'opera buffa, melodramma - creando quell'ibrido originale che è la commedia cinematografica italiana che sostituisce la grande narrativa italiana - che non c'è stata -, che sostituisce altre cose che altri paesi hanno avuto.


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