SCHEDE FILM

Il cielo sopra Berlino

Titolo originale

Der Himmel uber Berlin

Regia

Wim Wenders

Nazionalità

Germania (ex DDR)

Anno

1987

Interpreti

Curt Bois

Solveig Dommartin (Marion)

Bernard Eisenschitz

Peter Falk (l'attore)

Bruno Ganz (Damiel)

Teresa Harder

Otto Sander (Cassiel)

Soggetto

Peter Handke

Wim Wenders

Sceneggiatura

Wim Wenders

Peter Handke

Fotografia

Henri Alekan

Musica

Jurgen Kneiper

Montaggio

Peter Przygodda

Durata (in minuti)

130

Produzione

Road Movies, Filmproduktions Berlin, Argos Film

Distribuzione

Academy

La trama

Dalla fine della seconda guerra mondiale, due angeli - Damiel e Cassiel - svolgono la missione loro assegnata, aggirandosi nella Berlino odierna, ascoltando i pensieri lieti o tristi delle persone incontrate, che essi vedono solo in bianco e nero.

Ma Damiel, più partecipe dell'altro alle ansie degli umani, come alle loro infinite piccole gioie, sente fortemente l'attrazione esercitata dalla città (ancora sfregiata da enormi cicatrici) e dalla sua stessa gente.

Un giorno vede in discoteca Marion, una bellissima trapezista licenziata dal circo in cui

L'orrore è qualcosa di conforme alla legge naturale: l'horror vacui nella coscienza. L'immagine si sta giusto formando e improvvisamente si accorge che non c'è più niente da immaginare. Allora precipita, come un personaggio dei cartoni animati quando si rende conto di stare camminando nel vuoto.

Più avanti scriverò di tutto questo in modo più preciso.

P. Handke, Infelicità senza desideri.

1. Cammina cammina Wilhelm Wenders Meister è arrivato fino in cielo. Ora, appollaiato (è il caso di dirlo) su una torre-orologio che domina Berlino, medita sulla sorte degli umani: si deve volare oltre le nuvole o per essere angeli basta possedere un'idea nuova e incorrotta del mondo?

Der Himmel uber Berlin (Il cielo sopra Berlino 1987) parla di due creature alate, Damiel (Bruno Ganz) e Cassiel (Otto Sander), cadute sulla Terra dal pianeta proibito ai vivi. Hanno la capacità di udire i pensieri della gente, vedono in bianco e nero, si raccontano l'un l'altro gli episodi curiosi a cui hanno assistito in città.

«Quando il bambino era bambino» scrive all'inizio la stilografica di Handke, collaboratore alla sceneggiatura. E la frase ritorna -dolcemente ossessiva- siglando l'incantesimo del tempo che avvolge i protagonisti.

«Il bambino si rallegrerà come un bambino. Il profeta avrà visioni come un profeta. Gli angeli parleranno con lingue d'angeli. Il film sarà irreale come un film», scriveva nel 1966 Handke in Profezia, testo teatrale. «La vita sotto il sole è forse un sogno?» gli fa eco Damiel.

La biblioteca pubblica è piena di angeli d'ambo i sessi, circospetti e misurati come attori sul palcoscenico. Indossano lunghi soprabiti scuri e una sciarpa grigia, i capelli sono raccolti in un codino da un piccolo, prezioso papillon nero. Angeli da passerella, eleganti, postmoderni, un po' snob. Angeli-personaggi in cerca d'autore, senza spettatori e spettatori essi stessi, perché la scena è il mondo e loro sono costretti a osservarlo. Damiel è il più autocritico: «Non entusiasmarsi solo per lo spirito, ma finalmente anche per un pranzo. Essere un selvaggio».

Amore scuote brutalmente il fair-play dell'angelo, partecipe e distaccato al tempo stesso, la mestizia lirica e l'infelicità messianica che caratterizzano la sua maschera eterea. Damiel infatti ha incontrato un'anima gemella, la trapezista Marion (Solveig Dommartin), che vola sotto la tenda del «Circus Alekan» (Henri Alekan è il direttore della fotografia) con ali posticce, bellissima. La segue, la spia, sente che è triste perché il circo è fallito e la stagione si conclude in anticipo: «Come devo vivere, come devo pensare? All'interno degli occhi chiusi chiudere ancora gli occhi, allora anche le pietre son vive. Stare in mezzo ai colori. Il piacere di amare».

Damiel è perduto: da stilita/stilista, artista alla moda, si scioglie il codino (qualche anno fa autentica manifestazione di dandysmo, ostentato, ad esempio da Karl Lagerfeld o dallo scenografo Jean-Paul Chambas), perde le ali, vende la sua corazza di rame per farsi uomo. E, presso il muro di Berlino, scopre improvvisamente i colori. «Voglio conquistarmi una storia», afferma. «Basta con il mondo dietro al mondo».

2. Se Damiel è il regista (Wenders che riflette ancora una volta su sé stesso; Marion: «guardarsi allo specchio vuol dire pensare») o il cinéphile, quel mondo dietro al mondo indica uno spazio mitico, la soglia magica tra sogno e realtà che periodicamente ogni creatore attraversa. L'angelo ha scelto di cambiare posto, di passare davanti alla macchina da presa, di essere attore sul set o entrato (nella vita) liberandosi del costume di scena, per lasciare tracce - forme concrete - sulla terra.

Gli eroi di Wenders hanno viaggiato sempre, verso chi e dove non importa, convinti che il luogo, un'idea o la persona giusta si trovino appena un po' più oltre. In Über die Dorfer, allestito alla Felsenreitschule, i personaggi si muovevano sotto un'enorme nuvola bianca. Lo spirito di questa «poesia drammatica», ultima di una trilogia detta Langsam Heimkehr (Lento ritorno), passa -amplificato e con un significato diverso- ne Il cielo sopra Berlino. Il villaggio è piccolo e cattivo, ma Nova, angelo caduto, sostiene che «la pace eterna è possibile». Marion, nel film, ha la stessa serenità profetica. È Damiel paradossalmente il Menschlein, un angelo grigio, intristito dalla routine, dal carico delle pene altrui, ascoltate, viste o filmate.

3. Peter Falk interpreta il ruolo di sé stesso e del tenente Colombo, angelo dimissionario, un altro amico americano: «La vita? Se non ci fosse mi mancherebbe, disse il generale alla puttana, disse la puttana al generale». Il cinismo e la prassi del mondo nuovo posti sempre polemicamente a confronto con le atmosfere più liriche dell'Europa. C'è il rock duro di Nick Cave & The Bad Seeds, angeli neri. Un manifesto pubblicitario recita «Lord is extra». Marion enuncia: «Solitudine significa: finalmente sono tutto!» e Damiel proclama: «Risalirò il fiume, nel guado del tempo», oppure «Guardare non è guardare dall'alto, ma ad altezza d'occhio».

Troppi sentieri incrociati, horror vacui, giochi di specchi, allusioni.

Berlino è come la grande foresta austriaca: senza un buon itinerario segnato sulla mappa in questa fiaba anche il bambino si perde, non passerà mai attraverso i villaggi.

[Stefano Socci

da WIM WENDERS il cinema dello sguardo, quaderni della Mediateca Regionale Toscana, Loggià de' Lanzi, giugno 1995, pp192, L. 25.000]

Premere qui per tornare alla pagina precedente

Powered by ItalyNet.it