BIOGRAFIA

Roberto Rossellini

Nato a Roma l'8 maggio 1906, cresciuto in un ambiente borghese e di raffinata cultura - il padre, costruttore edile, frequentava la società intellettuale della capitale essendo amico di artisti e scrittori ed avendo interessi non superficiali per l'arte e le lettere - Roberto Rossellini ricevette un'educazione che potremmo definire tradizionale, sebbene l'assiduità di gente aperta agli stimoli della fantasia e della ragione, e una certa innata irrequietezza, lo portassero fuori dai binari dell'istruzione abituale della borghesia. Compiuti «studi liceali, filosofici, artistici e letterari», come ebbe a scrivere in una scheda autobiografica, ben presto s'interessò di meccanica e di questioni tecniche abbandonando gli studi regolari per una più libera esplicazione delle proprie attitudini, facilitata questa da una condizione economica che gli consentiva di trasformare un hobby in soddisfacente lavoro tanto più interessante quanto meno utile in termini di produzione, e non retribuito. Da qui forse, da questa facilità e libertà d'azione nella vita quotidiana, deriva quel fondamentale disprezzo per il lavoro inteso come «fatica» e quindi come condanna biblica (da cui occorre riscattarsi trasformandolo in divertimento) che Rossellini ha manifestato pubblicamente e che non è difficile individuare in molti suoi film, per poco che li si analizzi nei rapporti intercorrenti tra i personaggi e i loro risvolti umani e sociali.

Il cinema entrò nella cerchia dei suoi interessi soprattutto come straordinario mezzo suscitatore di energie e strumento affascinante di conoscenza, tanto che l'assidua frequenza delle sale cinematografiche e la predilezione per i film americani, soprattutto quelli di King Vidor, stando a quanto egli ebbe a ricordare in diverse occasioni, lo portarono progressivamente ad abbandonare le altre occupazioni per dedicarsi al cinema come autore: e in ciò ebbe forse una parte non piccola la sua predilezione per la meccanica che proprio nel cinema, arte quant'altre mai meccanica, avrebbe potuto trovare un fruttuoso terreno d'applicazione e di sperimentazione.

A metà degli anni Trenta, quando ormai le irrequietezze della gioventù si sono un po' assopite, Rossellini si accosta al cinema, a livello amatoriale, realizzando un paio di cortometraggi- «Daphne» (1936) e «Prélude à l'après midi d'un faune» (1938)che gli consentono di saggiare le possibilità della cinecamera nell'osservazione e nella riproduzione della natura, e a livello professionale collaborando (spesso anonimamente) alla sceneggiatura di alcuni film il più noto dei quali è «Luciano Serra pilota» (1938) diretto da Goffredo Alessandrini e supervisionato da Vittorio Mussolini. L'apporto di Rossellini a questo film non fu soltanto letterario, come soggettista, ma anche e soprattutto tecnico, se è vero che buona parte delle riprese africane furono da lui girate. L'incontro con Vittorio Mussolini non significò per Rossellini un'adesione alla politica fascista. Rimase allora, come in seguito, fuori dai gruppi, isolato in una sorta di disinteresse per le questioni teoriche e politiche, per le quali non era preparato e che non trovavano posto nella sua visione fondamentalmente individualistica della realtà umana e sociale. L'esperienza di «Luciano Serra pilota» come più tardi quella dei cortometraggi sugli animali e sulla natura quali «Fantasia sottomarina» (1939), «Il tacchino prepotente» (1939), «La Vispa Teresa» (1939), «Il ruscello di Ripasottile» (1941), gli permisero di utilizzare il cinema proprio come strumento di osservazione e di conoscenza, per una maggiore adesione alla realtà umana e naturale.

Parola di... Roberto Rossellini

Sono un regista di film, non sono un'esteta e non credo che saprei indicare con assoluta precisione che cosa sia il realismo. Posso dire, però, come io lo sento, qual'è l'idea che me ne sono fatta. Forse qualcuno potrebbe dire meglio di me. Una maggiore curiosità per gli individui. Un bisogno, che è proprio dell'uomo moderno, di dire le cose come sono, di rendersi conto della realtà direi in modo spietatamente concreto, conforme a quell'interesse, tipicamente contemporaneo, per i risultati statistici e scientifici. Una sincera necessità, anche, di vedere con umiltà gli uomini quali sono, senza ricorrere allo stratagemma d'inventare lo straordinario. Una coscienza di ottenere lo straordinario con la ricerca. Un desiderio, infine, di chiarire sé stessi e di non ignorare la realtà, qualunque essa sia. Ecco perché nei miei film, ho cercato di raggiungere l'intelligenza delle cose, dando loro il valore che hanno: assunto non facile, anzi ambizioso e tutt'altro che lieve, perché dare il vero valore a una qualsiasi cosa significa averne appreso il senso autentico e universale. Il realismo per me non è che la forma artistica della verità. Quando la verità è ricostituita si raggiunge l'espressione. Oggetto vivo del film realistico è il «mondo», non la storia, non il racconto. Esso non ha tesi precostituite perché nascono da sé. Non ama il superfluo e lo spettacolare, che anzi rifiuta; ma va al sodo. Non si ferma alla superficie, ma cerca i più sottili fili dell'anima. Rifiuta i lenocini e le formule, cerca i motivi che sono dentro ognuno di noi. È, in breve, il film che pone e si pone dei problemi. (1952)

[Biografia tratta da: «Roberto Rossellini» di Gianni Rondolino, ed. Il Castoro]

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