FIRENZE TEATRO

di Michela Bini

Febbraio teatrale non può che aprire la sua rassegna con la segnalazione di una delle opere più belle e significative del grande drammaturgo e scrittore siciliano Luigi Pirandello. Si tratta dell'"Enrico IV", del 1922. La trama si svolge in epoca contemporanea: un uomo, creduto pazzo in seguito ad una caduta nel corso di una storica cavalcata in costume, vive in un ambiente del tutto simile ad una corte dell'XI secolo. In realtà la malattia è durata ben poco, ma il risveglio alla realtà non si accompagna al desiderio di riprendere il proprio posto in società. Tutt'altro. Troppo tempo è stato consumato nella finzione e adesso la donna un tempo amata dal protagonista, Matilde, è divenuta addirittura l'amante di Tito, eterno rivale in amore che anni prima causò la fatidica caduta da cavallo. Tutto è finzione, ipocrisia, falsi i legami e i rapporti sociali, meglio continuare a vivere nel passato, eterno penitente di fronte a Matilde di Canossa, per la cui intercessione Gregorio VII revocò la scomunica al vero Enrico IV. Ma la realtà e le ipocrite buone intenzioni, che nascondono solo pretestuosi e tardivi rimorsi di coscienza, sono sempre in agguato. A dodici anni di distanza si decide di riportare l'uomo alla "normalità" mediante una violenta scossa emotiva: viene ricreata l'atmosfera della cavalcata. La scossa è talmente forte che rischia di far impazzire veramente il protagonista e, a causa del ferimento di Tito, lo relega definitivamente nel ruolo di alienato. À la realtà intollerabile? À la finzione talmente reale da essere soverchiante? Ognuno si crogioli nella realtà che più gli piace, che gli permette, al di là degli schemi sociali troppo rigidi, di essere più possibile fedele a se stesso. Opera della maturità pirandelliana, lacerante capolavoro che affronta il tema caro al drammaturgo della personalità smarrita (o ritrovata?), la pièce pirandelliana è in scena alla Pergola i primi di febbraio. Anche l'opera che la segue, partendo da una lacerante considerazione storica, invita ad andare al di là delle apparenze. Una malattia femminile, un male isterico, l'infermità improvvisa agli arti, cela una profonda crisi personale e matrimoniale, oltre che una sofferta partecipazione al dramma storico dell'antisemitismo. Si tratta di "Broken glass", dell'americano Arthur Miller, autore costantemente impegnato nella denuncia della frustrazione dell'individuo al di sotto dell'agio e del benessere. Chiude il cartellone di febbraio l'agrodolce "Cena dei cretini" di Francis Veber.

Il Teatro di Rifredi presenta "Don Pilone" di Girolamo Gigli per la regia di Angelo Savelli. Si tratta di una violenta satira contro gli ipocriti, resa ancora più incisiva dall'uso del linguaggio fortemente colorito che sempre caratterizzò l'opera del commediografo senese. Testo che auspica la riscoperta di un grande antiumanista.

Da segnalare al teatro Metastasio di Prato "La scuola delle mogli" di Molière, complessa commedia sull'educazione delle giovani mogli, ricca di intrighi, tentativi di fuga, riconoscimenti, prima di giungere al lieto fine. Ma, soprattutto, un'interessante "Histoire du soldat" di Pier Paolo Pasolini, Sergio Citti e Giulio Paradisi, alla cui regia collabora anche Mario Martone: favola politica tratta dall'opera di Stravinski, in cui Male è profeticamente incarnato dalla televisione.

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