SCHEDE FILM

I MAESTRI DEL CINEMA

Sala Esse - giovedì 21 marzo 1996

La marchesa von...

Titolo originale

La Marquise d'O

Ulteriore titolo

La marchesa di O...

Regia

Eric Rohmer

Nazionalità

Francia Germania

Anno

1976

Interpreti

Edith Clever (Marchesa)

Theo de Maal (Borghese)

Ruth Drexel (La balia)

Bernhard Freyd (Leopardo)

Bruno Ganz (Il conte)

Hesso Huber (Il portiere)

Eduard Linkers (Il medico)

Peter Luhr (Il padre)

Manuela Mayer (Bambinaia)

Petra Meier (Bambinaia)

Heidi Moller (Cameriera)

Marion Muller (Cameriera)

Franz Pikola (Borghese)

Volker Prachtel (Il prete)

Richard Rogner (Ufficiale russo)

Otto Sander (Il fratello)

Eric Schachinger (Generale russo)

Edda Seippel (La madre)

Thomas Straus (Il messaggero)

Soggetto

Novella di Heinrich von Kleist

Sceneggiatura

Peter Iden

Eric Rohmer

Fotografia

Nestor Almendros

Musica

Improvisazioni di Robert Delmotte

Preussische Militarmusik

Montaggio

Cecil Decugis

Durata (in minuti)

107

Produzione

Janus Artemis Film du Losange

Distribuzione

Vis Star (1977)

La trama

Nel 1799 i cosacchi assaltano una cittadella dell'Italia cisalpina, conquistando il castello comandato dal marchese Von O. Sua figlia Giulietta, vedova e madre di due bambine, è aggredita da alcuni soldatacci, che tentano di violentarla.

La salva il provvidenziale intervento di un tenente colonnello russo, il conte di F., che la riconsegna ai genitori. Qualche tempo dopo, l'uomo, che la famiglia di Giulietta credeva morto, si presenta al castello chiedendo con importuna insistenza la mano della giovane marchesa, ma ottiene un fermo anche se condizionato rifiuto. Passano i giorni, e Giulietta, che ne aveva avuto il presentimento, ha ora la certezza di essere incinta. Ella è sicura della propria innocenza: non lo sono invece i suoi genitori, che la cacciano di casa.

Noncurante dello scandalo pur di dare un padre al nascituro, Giulietta pubblica un annuncio su un giornale, invitando l'ignoto responsabile della sua gravidanza a presentarsi, promettendogli di sposarlo. Con sua enorme e sgradita sorpresa (intanto il padre e la madre, convinti della sua virtù, l'hanno perdonata e riaccolta in casa) chi risponde all'annuncio è il conte, il quale confessa d'avere approfittato di lei, svenuta, la notte stessa in cui l'aveva strappata alla soldataglia. Malgrado la sua profonda indignazione, e purché il conte rinunci ai suoi diritti coniugali, Giulietta lo sposa.

La nascita del bambino, però, e le sincere prove di devozione del conte indurranno la marchesa, un anno dopo, a ricambiare finalmente il suo amore.

Michele Mancini su "La Marchesa von..."

Una volta terminata la realizzazione del lungo e maniacale progetto dei sei contes che avrebbe fatto Rohmer? La curiosità era giustificata. "La Marquise d'O...", mporrà il cineasta ad un vasto pubblico senza mancare di sorprendere piacevolmente i suoi amici affezionati. Anzitutto affronta un testo non suo e perdipiù un testo letterario che lo costringerà ad abbandonare l'ambientazione contemporanea dei contes per cimentarsi con un film in costume: necessità che si svela desiderio a lungo coltivato, e che risponde alla capacità stessa del cinema di giocare con il tempo, di permettere evocazioni di epoche diverse e remote, ricostruzioni, sovrapposizioni, messe in scena di miraggi. «In ogni cineasta sonnecchia il desiderio di ricostruire mondi diversi da quelli reali, sia che si tratti di un mondo lontano, di uno futuro o di uno passato. Ma è un lusso che per lungo tempo non ho potutopermettermi perché giravo films con budgets molto limitati, mentre adesso posso girare dei film in costume». Ancora. Rohmer abbandona per la prima volta la lingua francese e dirige in tedesco un cast di attori nin più amatoriali ma addirittura teatrali presi in prestito dalla Schaubuehne di Berlino di Peter Stein (Edith Clever, Bruno Ganz, Peter Luhr, Otto Sander). Anche questo dell'altra lingua è desiderio: desiderio di affrontare un significante il più possibile puro (come può esser appunto quello prodotto da una lingua sconosciuta, o almeno straniera), di fare i conti con una lettera garantita proprio nella sua letteralità (non dimentichiamo che Rohmer sta già pensando a confrontarsi con i versi medioevali del Perceval di Chrétien de Troyes): «Desideravo girare in una lingua che non fosse quella di tutti i giorni. Desideravo fare un film in versi: la prosa m'infastidisce, il prosaicismo m'infastidisce, volevo uscire da un cinema prosaico. Attualmente vorrei andare oltre un linguaggio corrente, e passare attraverso una lingua straniera, è un modo per allontarmi dal francese quotidiano tramite una lingua che inoltre sia completamente scritta, una lingua da testo classico del quale non bisogna cambiare nulla. Avevo bisogno di mettere in scena un testo che potessi rispettare, ciò che non potevo fare con quelli di cui mi ero servito finora, per due ragioni: prima di tutto perché erano miei e poi perché, essendo un po' improvvisati, permettevo agli attori di modificarli. Avevo voglia di sentirmi veramente regista. Al contrario di quei registi la cui ambizione è di essere autori, io ero un autore che soffriva per essere tale e che desiderava trovarsi di fronte ad un testo da non toccare». Arriviamo così alla novità che fa de "La Marchesa von..." una delle operazioni più originali nella storia dei rapporti tra cinema e letteratura: la fedeltà assoluta al testo, a un testo preso alla "lettera". Intento dichiarato di Rohmer è quello di mostrare come il racconto di uno scrittore di due secoli addietro, che ovviamente ignorava il cinema, fosse "tecnicamente" una sceneggiatura quale può concepirsi, e scrivere, solo per il cinema.

[da Eich Rohmer di Michele Mancini "il castoro cinema" Edizioni La Nuova Italia]

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