SCHEDE FILM

I MAESTRI DEL CINEMA

Sala Esse - giovedì 28 marzo 1996

Fitzcarraldo

Titolo originale

Fitzcarraldo

Regia

Werner Herzog

Nazionalità

Germania

Anno

1981

Interpreti

Peter Berling

Huerequeque E. Bohorquez

Claudia Cardinale

Miguel Angel Fuentes (Carlo)

Paul Hittscher

Klaus Kinski (Brian Sweene Fitzger)

José Lewgoy (Molly)

Milton Nascimento

Grande Othelo

Rui PAlanah

David Perez Espinosa

Soggetto

Werner Herzog

Sceneggiatura

Werner Herzog

Fotografia

Thomas Mauch

Musica

Popol Vuh

Montaggio

Beate Mainka Jellinghaus

Durata (in minuti)

158

Produzione

Werner Herzog Film Produktion Lucki Stipetic

Distribuzione

Gaumont (1982)

La trama

Brian Sweene Fitzgerald, meglio conosciuto come Fitzcarraldo nella foresta amazzonica dove vive, vuole costruire a Iquitos, proprio al centro dell'Amazzonia, il più grande teatro d'opera mai esistito e ad inaugurarlo vuole Caruso, che ha avuto modo di ascoltare, una volta, a Manaus. Per poter riuscire nel suo intento accetta di guidare una spedizione a bordo di un battello verso una zona ricchissima di alberi della gomma che intende sfruttare e con il ricavato dare vita a questo suo grande sogno. Con il suo battello, infatti, risalirà un fiume impetuoso, verrà scambiato per una divinità dagli indios di una tribù bellicosa che lo aiuterà a far scavalcare una montagna al suo battello e, alla fine, se non proprio il teatro dell'opera, riuscirà a portare l'opera agli abitanti della sua città.

Fabrizio Grosoli su "Fitzcarraldo"

L'ultimo progetto del cineasta lo porta nuovamente in Perù, sette anni dopo "Aguirre". Si tratta dell'impresa più impegnativa tra quelle affrontate sinora, almeno dal punto di vista economico: 5,6 milioni di dollari di budget, con una consistente partecipazione delle 20th Century Fox e star di prestigio (per il ruolo di protagonista si parla in un primo tempo di Mick Jagger o di Albert Finney, poi di Jack Nicholson). Il soggetto è ispirato alla vita del Fitzgerald (il cui nome latinizzato in "Fitzcarraldo" dovrebbe diventare il titolo del film) che si costruì un'enorme fortuna agli inizi del secolo, in Amazzonia, sfruttando e massacrando gli indios. L'attenzione dell'autore è richiamata soprattutto da due episodi favolosi, alla Garcia Marquez: il trasporto di una nave da un fiume ad un altro attraverso montagne, con l'impiego di centinai di indigeni, e il tentativo di Fitzcarraldo (probabilmente una pura invenzione herzoghiana) di fare esibire nel teatro da lui costruito a Iquitos, capoluogo dell'Amazzonia peruviana, i grandi artisti del suo tempo, da Sarah Bernhardt a Caruso. I sopralluoghi iniziano prima dell'estate '79. Herzog sorvola in elicottero una vasta area intorno al Rio Marañon, verso il confine con l'Ecuador e sceglie di fissare la sede della troupe nei pressi del villaggio di Wawaim, abitato dalla comunità degli Aguarunas. Naturalmente c'è la necessità di mobilitare un gran numero di comparse, praticamente l'intero villaggio, e da qui inizia una serie di gravi malintesi. Al suo arrivo nella zona (luglio '79), Herzog trova una situazione difficile. Si sono diffuse voci allarmistiche tra la popolazione (si teme addirittura la deviazione del corso di un fiume) e il quadro politico è molto teso. Gli Aguarunas, come altri gruppi amazzonici, stanni ingaggiando una battaglia per la difesa dei loro valori etnici (minacciati dall'irruzione delle multinazionali del petrolio), e per la conquista di una maggiore autonomia dal governo centrale. Il cineasta è sensibile a questi problemi, si fa accompagnare tra l'altro da un antropologo peruviano, ma probabilmente non abbastanza informato sulla realtà associativa locale. Tratta direttamente con la comunità locale di Wawaim e trascura un «consiglio regionale Aguaruna y Huambisa» che si rivela potente e ben organizzato (anche se forse non realmente rappresentativo). Il consiglio lancia una serie di accuse a Herzog, tra cui quella di essersi servito dei militari per costringere gli indios a lavorare per lui. Più in generale, la troupe è vista come una minaccia all'integrità culturale della zona e come sinonimo dello sfruttamento operato dalle multinazionali (questa volta hollywoodiane). Il rappresentante del consiglio, Evaristo Nugkuag, si dimostra tra l'altro un abile diplomatico, riuscendo ad ottenere udienza ed accredito presso le sedi occidentali più sensibili ai problemi del terzo mondo. La questione trova subito eco nelle fonti d'informazione: l'«associazione per la difesa dei popoli minacciati», sezione tedesca di «Survival International», pubblica perfino un dossier sul «caso Herzog» , riportando documenti originali sul conflitto. In questo testo, d'altra parte, si trovano anche le smentite indignate del cineasta alle accuse di violenza e le sue dichiarazioni sulla correttezza del rapporto tenuto con gli Aguarunas, nonché sul completo accordo alle loro richieste (tra l'altro, concessione gratuita di viveri e medicinali, e assistenza, sempre gratuita, per corsi di formazione artigianale con vendita a prezzo simbolico di macchinari). Nonostante dunque molti indios vedano in realtà con favore il lavoro per il film, la situazione precipita: gli uomini del consiglio minacciano drastiche punizioni per la comunità e riccorrono a una dissuasione fondata sulle credenze magiche («Gli obiettivi succhierebbero il grasso dai loro corpi»). Nell'autunno '79, l'azione più grave. Il campo con tutte le attrezzature di ripresa viene incendiato. I danni sono ingentissimi. La lavorazione deve essere sospesa. Il cineasta in un momento di crisi, ha pensato di abbandonare l'impresa perché convinto che alla gente dell'Amazzonia "servisse" la tesi delle sue sopraffazioni. Ma al di là di questo il suo stesso principio fondamentale di lavoro (la ricerca continua di immagini là dove è ancora possibile ritrovarne di non compromesse) si scontra evidentemente con una nuova realtà. Il mettersi fisicamente di fronte a un luogo sconosciuto, o a persone ardenti, può diventare ora un'azione compiuta con il "sostegno" di un grande apparato economico in grado di stravolgere automaticamente questo rapporto immediato. Per questo l'autore ha riaffermato più volte, negli ultimi due anni, la sua «delusione» nei confronti di un mestiere «così distruttivo» e la sua disponibilità sempre maggiore verso forme di espressione più dirette, come la scrittura, come il suo libro scritto di getto «sui sentieri di ghiaccio». Ma Herzog sa anche che la macchina-cinema, in cui si trova oggi profondamente inserito, gli dà nuove responsabilità; che gli consente di mostrare a un pubblico incomparabilmente più vasto e con più autorevolezza che in passato. La missione di filmare non può estinguersi, quando fare cinema vuol dire sempre «mostrare al mondo che ancora esistiamo».

[da Werner Herzog di Fabrizio Grosoli "il castoro cinema" Edizioni La Nuova Italia]

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