ELEMENTI DI ANALISI FILMICA

Elementi di analisi filmica III parte

Il testo filmico

Si chiedeva recentemente Francoise Heritier "fino a che punto l'immagine sia soltanto un fatto educativo e non sia, invece, un fatto cognitivo".

Un'osservazione del genere non può non suggerirci attraverso quale prospettiva ideologica, o più genericamente, intellettuale, sia possibile attivare un approccio all'immagine filmica, simile a quelli possibili per le altre arti, dalla pittura, alla scultura, alla letteratura. In altre parole, in che modo ci si può accostare al messaggio contenuto in un film, prendendo coscienza che la suggestione offerta dalle immagini deve essere un mezzo per meglio avvicinarsi a significati più profondi e meno evidenti, e non certo il puro fine di cui dilettarsi passivamente? E ancora: come deve essere considerato dal nostro spettatore critico, il prodotto dell'arte cinematografica, per non incorrere in troppo facili ed ingenue visioni? La narratività del film conduce, quasi inevitabilmente, a pensare alla letteratura come modello testuale più affine: film come testo letterario dunque, ma diverso e originale perché arricchito dai caratteri di codici differenziati, quali quello visivo e sonoro, che concorrono ad una lettura più completa (ma anche più complessa) del testo filmico.

Vedremo, come prima introduzione al modello critico, quali sono state in merito le principali ideologie che, tentando l'istituzione delle regole di una nuova arte (quella cinematografica, appunto) e offrendo contemporaneamente gli opportuni strumenti per leggerla e interpretarla criticamente, si sono andate sovrapponendo alla storia e all'evoluzione delle tecniche della produzione filmica che abbiamo precedentemente riassunto.

Antecedenti storici

Il primo ad intuire l'importanza del film come fatto nuovo dello spettacolo, sfruttandolo artisticamente, è Georges Melies, già proprietario di un music-hall, che però, pur tentando come abbiamo già visto, interessanti ricerche soprattutto nel campo scenografico, rimane ancora legato a schemi puramente teatrali. Per poter ritrovare i primi fondamenti del film come arte concettualmente intesa, si deve andare a cercare fra i paesi anglosassoni: così agli inizi del '900, mentre in Gran Bretagna la scuola di Brighton teorizza i primi fondamenti tecnici (distinzioni tra campo lungo e primo piano), E. S. Porter, negli Stati Uniti, inventa il genere western. Il bisogno è ora di avere film più lunghi, ed ecco che in Francia, nel 1908 la "Compagnie du film d'art", presso la quale lavorano attori di teatro, presenta l'opera "L'assassinio del duca di Guisa" sceneggiata da Henri Lavedan, noto scrittore, aprendo definitivamente la strada della collaborazione tra cinema e letteratura.

Subito dopo G. D'Annunzio firmerà il soggetto per il film "Cabiria" realizzato dal regista Pastrone. In America alla casa di produzione Edison, dove lavora Porter, David W. Griffith, realizza i suoi lavori basandosi su ampi studi delle tecniche narrative di Dickens (largo uso di flash-back e di azioni). Un'analoga ispirazione avrà anche Ejzenstejn, che in Dickens troverà espressi i principi del montaggio e così anche Erich von Stroheim il regista e attore viennese naturalizzato americano, su ispirazione di Maupassant, Zola e Frank Norris. In tempi a noi più vicini resta l'esempio di Visconti, da Verga, e di Antonioni che, secondo Guido Aristarco, ha visto l'apogeo del romanzo ottocentesco più in Flaubert che in Balzac o Tolstoj.

Il cinema moderno (del primo dopoguerra) si sviluppa dal tentativo di trasformare lo sfacelo della guerra, la distruzione dei valori in un "divertimento accettabile". Sorgono allora alcune correnti di produzione che sono:

Nel '19 Vertov, appoggiato da Majakovsky e da altri artisti del futurismo sovietico afferma la necessità di uno stile-documentario del film, da opporsi al film-racconto, estraneo al temperamento e alle necessità del pubblico russo. Questo problema è riproposto con l'avvento del sonoro, con film che danno una certa indicazione del momento storico (Pabst, Pudovkin, Vertov, Lang e l'ultimo Clair), per non ridurre il cinema a schemi puramente teatrali. Nel 1943, in Italia, Umberto Barbaro pubblica il manifesto programmatico del neorealismo:

Lo storico del cinema J. H. Lawson traccia il fallimento del neorealismo italiano nell'incapacità dei registi di aver collegato e continuato a collegare la propria esperienza con quanto realmente accadde in Italia. L'idea neorealistica riconosceva e si soffermava sulle difficoltà della vita degli operai e dei contadini, ma non ne accettava pienamente le lotte di classe.

A conclusione di questo rapidissimo panorama rimangono da chiarire alcuni punti chiave che costituiscono la problematica del rapporto tra opera cinematografica e opera letteraria. Si può dire che il cinema conduca lo spettatore a livelli emotivi che sono l'effetto di ciò che vede e sente, e lo portano a mettere da parte la consapevolezza dell'esistenza di un qualcuno che ha montato, costruito e diretto la scena (viene a mancare cioè l'oggettivazione dell'opera e lo spettatore rischia l'eccesso del totale coinvolgimento dell'opera); il romanzo, invece, stabilisce un rapporto più diretto tra lettore e opera: così, per esempio, il lettore è più libero, emotivamente, di accettare o rifiutare i contenuti, cioè subisce una minore influenza interpretativa nella fruizione.

Il film può ridurre e storpiare l'opera letteraria (vedi il caso de "La lunga estate calda" dal "Borgo" di W. Faulkner), oppure seguirla alla lettera tralasciandone lo spirito ("Grandi speranze" di Dickens). A volte succede che il film riesca a mantenere complessivamente gli stessi significati e le stesse motivazioni del libro come accadde in "The Grapes of Wrath" di John Steinbek, realizzato da John Ford, ma sono casi più unici che rari. Gli esempi più recenti restano ancora quelli del "Nouveau Roman" aperti dal regista Alain Resnais in collaborazione con lo scrittore Alain Robbe-Grillet ("Hiroshima mon amuor", 1959; "L'annee derniere a Marienbad" 1961) basati su una scrittura "filmica" del testo, cioè con una costante attenzione alla descrizione di oggetti, spazi e situazioni, in vista del possibile e successivo utilizzo di romanzi come sceneggiature cinematografiche.

[Fine terza parte]

(Da "Lo spettatore critico - una lettura dell'immagine filmica" di Renato Candia)

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