Titolo originale
"M" Eine stadt sucht einen morder
Regia
Fritz Lang
Nazionalità
Germania
Anno
1931
Interpreti
Rudolf Blummer
Paul Falkenberg
George John
Paul Kemp
Inge Landgut
Peter Lorre
Theodor Loss
Ernst Stahl-Nachbaut
Franze Stein
Ellen Widmann
Soggetto
Thea Von Harbou
Sceneggiatura
Thea Von Harbou
Fotografia
Fritz Arno Wagner
Musica
Estratti dal "Peer Gynt" di Edward Grieg
Durata (in minuti)
98
Produzione
Nero Film
Distribuzione
Unidis
La trama
La quite della città di Düsseldorf è sconvolta da una raccapricciante serie di assassinii. La polizia si pone sulle tracce del maniaco omicida, ma sarà la malavita a segnare il destino dell'"imprendibile" mostro.
Parola di... Fritz Lang
Gradualmente, e a volte con riluttanza, sono arrivato alla conclusione che in ogni coscienza umana cova un latente impulso a uccidere. Ho cercato di avvicinarmi all'assassino con l'immaginazione, per mostrarlo come un uomo posseduto da un demone che lo ha spinto oltre i normali confini del comportamento umano e la cui tragedia sta anche nel fatto che l'assassino non risolve mai i suoi conflitti. Dato il carattere odioso del delitto, in "M" esisteva il problema di presentarlo conservandone la carica emotiva senza disgustare gli spettatori. É per questo che mi sono limitato a degli accenni: la palla che rotola, il palloncino abbandonato dalla mano della bambina e impigliato nei fili del telegrafo. Così il pubblico stesso è chiamato a partecipare alla scena, perché costringo ogni spettatore a ricreare gli orrendi particolari dell'assassinio secondo la propria immaginazione. In "M" non mi interessava soltanto scoprire perché qualcuno è spinto a un delitto orrendo come l'assassinio di bambini, ma anche discutere i pro e i contro della pena di morte. Comunque il messaggio del film non è la condanna dell'assassino, ma l'ammonimento alla madri: "Bisogna vigilare meglio sui figli". Questo messaggio umano stava particolarmente a cuore alla scrittrice Thea von Harbou, che allora era mia moglie. In ogni caso, gusto e tatto. Se anche potessi far vedere la cosa più orribile al mondo per me, questa potrebbe non esserlo per qualcun altro. Tutto il pubblico, anche chi non osa permettersi di capire quello che è successo alla povera bambina in "M", sente un brivido corrergli lungo la schiena. Ma ognuno prova una sensazione diversa, perché ciascuno immagina la cosa più terribile che potrebbe esserle accaduta. E non avrei potuto ottenere questo effetto se avessi mostrato una sola possibilità, ad esempio il maniaco che fa a pezzi la bambina. In questo modo costringo il pubblico a collaborare con me; suggerendo qualcosa ottengo un'impressione più forte, un coinvolgimento più profondo che facendola vedere. In altre parole, io mostro il risultato della violenza.
Pensate che in sala, oggi, ci siano molti spettatori disposti a credere in una punizione dopo la morte? No. Quindi di che hanno paura? Soltanto di una cosa, del dolore. A questo punto la violenza diventa un elemento assolutamente legittimo per rendere partecipe il pubblico, per fargli provare delle emozioni. Una volta scrissi un articolo in difesa della violenza, ma le guerre de nostro secolo hanno cambiato alcune cose.