SCHEDE FILM

Cronaca di un amore

Titolo originale

Cronaca di un amore

Regia

Michelangelo Antonioni

Nazionalità

Italia

Anno

1950

Interpreti

Lucia Bosè (Paola)

Rubi Dalma

Massimo Girotto (Guido)

Rosi Mirafiore

Gino Rossi

Marika Rovsky

Ferdinando Sarmi (Fontana)

Soggetto

Michelangelo Antonioni

Sceneggiatura

Michelangelo Antonioni

Daniele D'Anza

Silvio Giovaninetti

Francesco Maselli

Pietro Tellini

Fotografia

Enzo Serafin

Musica

Giovanni Fusco

Montaggio

Eraldo Da Roma

Durata (in minuti)

122

Produzione

Franco Villani e Stefano Caretta per la Villani Film

Distribuzione

Fincine

La trama

Un ricco industriale concepisce qualche sospetto sul conto della sua giovane e bella moglie, Paola, che ha sposato per amore ed ama appassionatamente. Egli vuol conoscere meglio i precedenti della donna ed incarica delle ricerche una agenzia d'investigazioni. Paola è di Ravenna e da studentessa ha avuto una gran passione per un compagno di studi, Giulio, fidanzato ad una di lei amica.

Questa è morta in seguito ad un disgraziato accidente. Giulio, che nel frattempo è stato in guerra e si trova in poco buone condizioni finanziarie, ha sentore delle indagini, che vengono condotte sulla sua ex amante, e si reca a Milano per avvertirla.

I due si sentono responsabili della morte della fidanzata di Giulio, perita sotto i loro occhi in un accidente, ch'essi avrebbero potuto evitare.

Nel rivedersi, i due vengono ripresi dalla passione. Paola vuole ad ogni costo liberarsi del marito, uomo d'età matura, e riesce a persuadere l'amante ad assassinarlo. Ma mentre Giulio è appostato al margine della strada, per la quale l'industriale deve passare, questi profondamente turbato dalle notizie avute dall'agenzia, perde il controllo della macchina e precipita nel vicino canale.

I due amanti sono liberi; ma Giulio, sconvolto e preoccupato, abbandona per sempre Milano.

La critica...

Tutto comincia sul Po. Oppure in un laboratorio dell'industria dei fumetti, o ancora lungo le strade deserte e tra gli spazzini di Milano in un'alba intessuta di silenzio e lavoro. Quello che conta è che a ridosso di «Cronaca di un amore» (1950), l'esordio di Antonioni nel lungometraggio, ci sono i cortometraggi documentari realizzati tra il 1943 e il 1949: «Gente del Po»,«N. U.», «L'amorosa menzogna», «Superstizione». Un'officina dello sguardo grazie alla quale Antonioni imbocca da solo la strada del neorealismo e definisce i punti cardine (ma non necessariamente programmatici) della propria poetica: il paesaggio come elemento significante e non come accessorio, la ricerca di una verità nascosta al di sotto delle apparenze, l'individuo come oggetto unico e imprescindibile dell'indagine.

«Eravamo nel '43 - dichiarerà il regista molti anni dopo - Visconti girava «Ossessione» sulle rive del Po, e sempre sul Po, a pochi chilometri di distanza, io giravo il mio primo documentario».

Possibile che si tratti di una coincidenza esclusivamente spaziale?

Come Visconti, anche Antonioni si affida per il suo primo film a soggetto agli schemi consolidati del melodramma e del noir. La sua «Cronaca», infatti, comincia come un'inchiesta: indagando sul passato della moglie di un industriale milanese, un detective scopre una sua relazione giovanile su cui grava il sospetto di un quasi omicidio(meglio, di un'omissione di soccorso ai confini dell'omicidio)proprio mentre la donna sta progettando col suo amante di un tempo, con cui ha riallacciato il rapporto, l'assassinio del marito.

Triangolo amoroso e un pizzico di giallo: forse è per questo che, almeno dal punto di vista dell'intreccio, "Cronaca di un amore" appare così diverso - più strutturato, apparentemente più "tradizionale" - rispetto alla stagione inaugurata dalla trilogia («L'avventura», «La notte», «L'eclisse»). Solo apparentemente però: perché suspence e melò si sgretolano quasi immediatamente come involucri inconsistenti, per lasciare in primo piano l'ambigua tessitura di rapporti tra i personaggi, la fragilità dei loro sentimenti, la pochezza morale delle loro aspirazioni: la trama si assottiglia, entra in scena la vita interiore. E la "cronaca" diventa impercettibilmente il "processo ad un amore", talmente incerto e sfigurato nell'asfissia dell'immediato dopoguerra da non trovare più il coraggio né la dignità(forse neppure la sostanza)per esprimersi.

Antonioni giudica, ma non lo fa da giudice. Nessuna tesi preconcetta. il suo cupo ritratto di borghesia arricchita(Paola, suo marito, il loro gruppo di amici)con contorno di reduce fallito(Guido)si compone da sé, nonostante o proprio grazie alla freddezza e al distacco dello sguardo.

Che invece di limitarsi a pedinare la realtà, la spia - consapevole che ""sotto l'immagine rivelata ce n'è un'altra più fedele alla realtà, e sotto quest'altra un'altra ancora" - attraverso lo studio quasi ossessivo dei personaggi. Pur presentandosi nella forma dell'inchiesta, "Cronaca di un amore" è un film stranamente reticente: dialoghi secchi, semplici, quasi sempre di superficie, nessuna tentazione di psicologismo, nessun preavviso sull'evoluzione dei sentimenti e dei rapporti. La strada del neorealismo così autonomamente imboccata non porta Antonioni né alla drammatizzazione psicologica né all'intimismo, ma alla fenomenologia: al1'osservazione dei sintomi piuttosto che alla pretesa di analizzare le cause. Ed è quasi inevitabile - in un regista per cui la forma è sempre stata parte del contenuto - che la novità di questo sguardo porti come conseguenza una novità nello stile: "Se ho utilizzato quella tecnica, fatta di inquadrature molto lunghe, di carrelli e panoramiche che seguivano ininterrottamente i personaggi... l'ho fatto istintivamente. Però, riflettendoci adesso, riesco a capire perché fossi indotto a muovermi in quella direzione. Ritenevo, in effetti, che fosse giusto non abbandonare i personaggi nel momento in cui, esaurito l'esame del dramma o perlomeno quello che del dramma interessava, le punte drammatiche più intense, il personaggio rimaneva solo con se stesso... Mi sembrava opportuno seguirli anche in quei momenti apparentemente secondari, nei quali sembrerebbe che non ci fosse alcun motivo di vedere che facce avessero o quali fossero i loro gesti, i loro atteggiamenti". È già, istintivo ma non inconsapevole, l'uso psicologico, non descrittivo (morale, verrebbe voglia di dire) del piano-sequenza che dalla metà degli ami Cinquanta in poi caratterizzerà il suo stile.

[Beatrice Manetti]

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