BIOGRAFIA

Mario Mattoli

Nato a Tolentino, in provincia di Macerata il 30 novembre 1898. Compiuti gli studi in giurisprudenza, Mattoli inizia a Milano la professione ed è proprio attraverso la sua attività di legale che entra in contatto con lo spettacolo. Il mondo del palcoscenico lo aveva sempre attirato: uno dei suoi ricordi più piacevoli consisteva nell’aver assistito a una delle ultime performances di Fregoli nel 1921 e nell’essere riuscito a capire di quale trucco l’autore si servisse per realizzare i travestimenti che lo avrebbero reso famoso. La possibilità di legare attività professionale e passione giovanile si realizza quando Mattoli diventa procuratore legale e come tale cura gli interessi della società Suvini e Zerboni che riuniva due impresari particolarmente attivi. Dal 1924 segretario della società non si limita a svolgere funzioni amministrative ma frequenta l’ambiente conoscendo artisti, agenti e gestori di sale. Nel 1927 insieme all’impresario Luciano Ramo fonda la Spettacoli Za-Bum. L’intuizione di Mattoli è che si può affidare la rivista, recitazione, canto, ballo, agli attori di prosa, gli stessi che muoiono di fame quando recitano i classici al teatro Manzoni di Milano e che sono disperatamente a caccia di scritture. «Sono bravi e sanno anche cantare», dice. Nascono così le Compagnie Za-Bum, numerate progressivamente con il passare degli anni. Operazioni di grande successo e rivelatrici di attori, come De Sica e di macchiette, Melnati col suo famoso intercalare «Dura minga», Roveri con la macchietta genovese di Baccicin Bacigalupo. L’esordio cinematografico, dopo che erano stati comunque prodotti dalla Za-Bum dei film, avviene per caso quando ancora l’attività teatrale è in pieno sviluppo. Carlo Ludovico Bragaglia, che deve realizzare il nuovo film Za-Bum, comunica tre giorni prima dell’inizio delle riprese la propria indisponibilità. Per non perdere tempo Mattoli decide di assumersi la direzione di "Tempo massimo". Comincia così una lunga e prolifica carriera di regista.

Parola di... Mario Mattoli
Dopo un po’ smisi di fare l’avvocato perché avevo un difetto: avevo sempre molta simpatia per l’avversario e quando leggevo gli atti degli avvocati avversari trovavo che avevano molta ragione, mentre gli accusati che dovevo difendere non funzionavano. Smisi dunque di fare l’avvocato e andai come segretario nella società Suvini-Zerboni. La gente che veniva entrava da me perché ero io che distribuivo i biglietti gratis, e ricevevo i rapporti dei diversi direttori dei teatri. De Sica è venuto nella Za-Bum occasionalmente perché una sera, nella mia funzione di ex-segretario della Suvini-Zerboni, sono andato a vedere uno spettacolo delizioso diretto da Salvini in un teatro in cui c’erano sette persone. Da quella occasione è venuto fuori il mio desiderio di valorizzare quella gente che era di una bravura eccezionale. Quando ho lavorato con i grandi attori di quel periodo ho trovato sempre una grossa collaborazione, era gente che capiva al volo. Allora non esisteva il regista, il regista sceglieva l’attore e poi era l’attore che interpretava quello che doveva fare. Io non ho avuto maestri. Forse è anche per questo che ho fatto tanti film brutti. L’unico regista che mi ha insegnato qualcosa è stato Amleto Palermi. Che mi diceva: «Vedi, Mattoli, quando tu scegli i posti, gira sempre vicino a casa, perché così quando è ora di mangiare urli: buttate giù i maccheroni che vengo a casa.» Quando ho seguito i suoi consigli ho fatto le cose migliori. Cominciai un filmetto il giorno in cui un grande regista con gli stivaloni cominciò un grosso film romano. Ci salutammo, io ho molta stima per lui, lo chiamavo maestro, lui sorrideva. Non ho mai capito se sorrideva perché gli faceva piacere o meno, e cominciò ‘sto film. Io finii il mio film e ne cominciai un altro e lui continuava con gli antichi romani. Io ne ho fatti sette in un anno e alla fine io avevo fatto il settimo e lui non aveva ancora finito questa "Fabiola". È l’idea iniziale che conta, non è il lavoro artificioso che si fa dopo. Tant’è vero che quando sento parlare di successive elaborazioni di sceneggiatura credo sempre che sia un elemento negativo perché, se l’idea è buona, se la scelta degli attori è giusta, anche la sceneggiatura viene facile. La scelta degli attori e l’idea sono lo stadio iniziale di un film, è quello che conta. I miei rapporti con i produttori non sono sempre stati molto buoni. Per loro un film non era bello se non c’era un salone con tante coppie che ballavano. E questo per me era sempre una cosa negativa perché sono molto superstizioso. Le comparse, in genere, sono persone che non hanno mai avuto molta fortuna nella vita: ecco, ne metta insieme parecchie tutte in frac e con la loro aria distinta e aristocratica, tutte persone di buona famiglia che ridotte a far le generiche in cinematografo , sono naturalmente turbate dall’andamento della propria esistenza. E vuole che si possano mettere in un ambiente chiuso cento persone disilluse della propria esistenza senza che succeda qualche cosa? Non esiste salone in cui non caschi qualcuno o qualcosa e la macchina non funzioni. In un film che durava qualche settimana la macchina funzionava sempre, quando c’era il salone la macchina non funzionava più. Le macchine sono sensibilissime a queste cose. Sono un uomo di spettacolo che ha fatto tante cose nel mondo dello spettacolo, e credo di aver fatto anche delle cose interessanti. Non ho mai avuto un riconoscimento, mai un premio, nessuno mi ha mai detto che sono bravo. Noi, noi tutti che facciamo spettacolo, facciamo una cosa molto interessante, perché divagare la gente e soprattutto farla divertire è una specie di servizio sociale. Credo che far piangere sia facilissimo, è un po’ da cretini. Si prenda un bambino con la mamma vicina, la gente si commuove e dice: povero bambino, povera mamma. Invece far ridere è estremamente difficile. Modestamente credo di aver fatto ridere molta gente perché ho dei meriti, anche se i critici non l’hanno mai riconosciuto. Ma in fondo sono contento di non aver avuto mai amici tra i critici. Io sono un uomo di spettacolo commerciale. Trovo che il rapporto giusto è quello tra la spesa e l’incasso, e nei pezzi dei critici non vedo mai vicino al titolo quanto è costato il film, quanti metri sono stati girati, e quanto ha incassato: mentre questo è un elemento importante.
[Biografia tratta da: «Mario Mattoli» di Stefano Della Casa, ed. Il Castoro Cinema.]

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