SCHEDE FILM

Germania anno zero

Titolo originale

Germania anno zero

Regia

Roberto Rossellini

Nazionalità

Italia

Anno

1947

Interpreti

Erich Gune

Barbara Hintze

Ingetraut Hintze

Franz Kruger

Alexandra Manys

Edmund Moeschke

Babsy Reckvell

Soggetto

Roberto Rossellini

Sceneggiatura

Max Kolpet

Carlo Lizzani

Roberto Rossellini

Fotografia

Robert Juillard

Musica

Renzo Rossellini

Durata (in minuti)

75

Produzione

Tevere Film (Roma)

Sadfilm (Berlino)

Distribuzione

GDB

La trama

Nella Berlino sconfitta e distrutta, avvolta in un'atmosfera di incubo e di fame, un ragazzo tredicenne, Edmund, deve provvedere alle necessità della famiglia, composta del vecchio genitore ammalato, del fratello maggiore, già appartenente all'esercito, ed ora fuggiasco, e della sorella, che la sera frequenta gli ambienti militari alleati. Il piccolo Edmund, per istigazione del suo vecchio maestro, al quale si rivolge per aiuto, avvelena il padre: i deboli e gli inutili debbono essere eliminati perché i più forti, i migliori si salvino. Preso dal rimorso e dal dubbio, ritorna per lumi dal maestro, che lo scaccia trattandolo da assassino. Abbandonato da tutti brancola per le vie distrutte della città; passa di fronte ad una chiesa, dalla quale, col dolce suono di un organo, si sprigiona una promessa di vita; ma tira avanti. Salito sul campanile, vede la sua casa, dalla quale stanno portando via il padre morto e, disperato, si getta nel vuoto.

La critica...

È un film di ampio respiro (a cui idealmente avrebbe dovuto collegarsi il successivo sul Giappone dopo Hiroshima), che dimostra la necessità dell'autore di non restare prigioniero di uno schema dopo i due film resistenziali («Roma città aperta», «Paisà»), di agganciarsi ancor più al presente con una contemporaneità quasi assoluta tra la rappresentazione e il contesto dello spettatore. Un cinema, dunque, per l'uomo, per aiutarlo a capirsi e a comprendere la propria condizione nello spazio e nel tempo del mondo attuale. «Germania anno zero» in altre parole, è un'opera sulle miserie di un popolo travolto da un istinto autodistruttivo, pieno di disperazione, in cui l'autore unisce la sofferenza collettiva dei tedeschi al personale dolore per la perdita del figlio. Il teatro del dramma sono le strade della città, che offre un panorama allucinante di orrore e distruzione. Rossellini conferma anche qui le precedenti scelte neorealistiche, ma con uno sguardo diverso verso una realtà che deforma in maniera quasi orrorifica come in certa pittura espressionista. È in tal senso anche un film molto astratto dove la ricerca della pacificazione dell'anima da parte del giovane protagonista avviene attraverso una recitazione sopra le righe, ma senza emotività, quasi ad interdire le passioni in un comportamento fantasmatico, sottolineato anche dagli altri attori, ad esempio con lo sguardo alto, perso nel vuoto, che non sembra incrociare mai quello dei propri interlocutori. Il dramma quindi assume proporzioni cosmiche, diventando la storia di una stirpe maledetta, senza alcun rispetto per i padri o per sé stessa; l'interesse e la stima di Rossellini vanno dunque a favore di perdenti e sconfitti, a loro volta costretti a scontare colpe altrui, con uno sguardo romantico che nel film è intriso di patetismo secco e violento, che a sua volta suscita un grido di protesta contro le sofferenze e le ingiustizie che schiacciano l'uomo.

Rossellini e il film dunque si allontanano dalla realtà italiana, non per fuggirla, bensì per cercarne alacremente il senso in un più ampio universo socioesistenziale. L'autore fotografa un'inedita circostanza che tragicamente condiziona l'individuo e la collettività, dallo sbando del protagonista nei continui vagabondaggi metropolitani, all'inconsistenza delle relazioni fra familiari, amici, vicini di casa, fino ai tremendi rapporti di causa/effetto in senso etico, contestuale, antropologizzante. Pur con qualche risvolto simbolico, il film si mantiene sui solidi binari della messinscena realistica ispirata a seguire con la macchina da presa i protagonisti nelle più intime dimensioni e nel più intrinseco legame con la città stessa.

Nel raccontare il manifestarsi di una condizione umana, attraverso la storia di una crisi morale, Rossellini si limita a mostrare l'autentica condotta del giovane personaggio, pedinandolo nella quotidianità spesso minimale dei gesti, pensieri, azioni, fino alla scoperta di una realtà più vasta e di una verità più grossa, a loro volta corrispondenti alla critica severa e alla denuncia sociale; tuttavia egli non vuole sostituirsi allo storico o al documentarista: qui come in tutta la Trilogia della guerra non indica soluzioni, ma candidamente illustra alcuni esempi, che lo spettatore dovrà interpretare in piena coscienza, in base soprattutto al grado di verità delle immagini mostrate.

Rossellini inoltre rifiuta le motivazioni logiche, per nulla interessato al filo del racconto o all'analisi del risvolto psicologico, bisognoso invece di affidarsi all'improvvisazione e al contatto diretto con le realtà circoscritte, che osserva con occhio indagatore per svelarne i drammi interiori. È così che nasce un cinema dello sguardo, ossia dell'interiorità, del personaggio visto attraverso i comportamenti rivelatori. E su un piano personale con questo film Rossellini, attraverso la morte, riscopre il significato della vita.

[Scheda tratta da: Guido Michelone «Invito al cinema di Rossellini», ed. Mursia]

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